Un Requiem di eloquenza raccolta e sincera

Un Requiem di eloquenza raccolta e sincera

Nelle storie della musica, Giovanni Paisiello appare sotto tre aspetti: come glorioso tarantino che si afferma in Europa, da Napoli a Parigi a Pietroburgo, di cui Beethoven prende un tema e ne fa oggetto di variazioni, e che Napoleone predilige; come specialista d’un tipo d’opera buffa dove il patetico diventa tanto forte da farci venir la paura che il lieto fine ci scappi di mano; come quel mascalzone che probabilmente, quando Rossini presentò il suo Barbiere di Siviglia, avendone già scritto uno lui, organizzò una gran cagnara contro, mandando sostenitori a bueggiare, e facendo attraversare la scena da un gatto nero. Si parla meno della sua musica sacra, che invece è tra le sue attività preminenti: e la sua Missa defunctorum, eseguita qui al Festival di Pentecoste a Salisburgo, direttore Riccardo Muti, Balthasar-Neumann-Chor, orchestra giovanile Luigi Cherubini, con quattro giovani solisti eccellenti ed altri bravi sparsi nel doppio coro, ha fatto avvenimento.
È una Messa spregiudicata: rifulge l’autenticità di Paisiello, che come drammaturgo talora è un po’aneddotico, e come musicista talora si infila in grandi concertati da cui non sa più bene come uscire, ma che possiede il dono della melodia soave e penetrante, e la genialità d’una strumentazione che la scolpisce.
Riccardo Muti l’ha diretta con un’eloquenza raccolta e sincera. Le frasi ripetute avevano ogni volta un colore diverso, un diverso modo di dire e di convincere. Le memorie della civiltà nativa di Paisiello e di Muti stesso si univano meravigliosamente alla conoscenza profonda del mondo austriaco del tardo Settecento e di oggi.
La Messa è datata 1789; la stessa dell’inizio della Rivoluzione francese e fa molto pensare che in quegli anni passassero lentamente le notizie, che chiedevano settimane, e mesi, invece si incontravano, con scambio armonioso, linguaggi e civiltà.
Quanto la scuola napoletana fosse ricca ai suoi tempi è stato messo in rilievo anche dall’oratorio Faraone sommerso di Francesco di Colafago, maestro di Jommelli e di Leo, che Fabio Biondi con quattro cantanti e il complesso Europa galante ha offerto con sostanziosa bravura.

Il Festival di Pentecoste dedicato all’opera napoletana ha avuto 7.300 spettatori di ventisei Paesi, tra cui 71 giornalisti accreditati. Per il prossimo anno è previsto l’accostamento fra La Betulia liberata di Jommelli e quella di Mozart, sempre con Muti. Qualcuno ha già prenotato.

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