(...) Guardate il coraggio della bellezza.
Guardate quella sinistra, che non è la sinistra. Non è la sinistra di oggi, almeno. È una sinistra soprattutto anticonsumista, una sinistra legata alla terra, una sinistra che non si vergogna di fare la sinistra. Una sinistra che, a me, che non sono di sinistra, piace moltissimo.
Guardate quella Sampierdarena e guardate quella sinistra e guardate la Sampierdarena di oggi e la sinistra di oggi. E capirete perchè Sampierdarena, da sempre feudo della sinistra, oggi è così.
Eretici e corsari, lo ribadisco, è uno spettacolo meraviglioso. Qualcosa che riconcilia con il teatro e la regia di Giorgio Gallione ha avuto la capacità di trovare lo stesso linguaggio in Gaber e Pasolini, parole quasi sovrapponibili, monologhi, poesie e canzoni scritte in modo assolutamente autonomo da uno e dallaltro, ma che sembrano quasi concordate. Soprattutto, parole profetiche e ancora attualissime. Oggi, trentacinque anni dopo.
In tutto questo, però, manca un ultimo sforzo. Quello di avere il coraggio di essere gaberiani e pasoliniani fino in fondo. Di prendere il Gaber e il Pasolini meno politicamente corretti. Soprattutto, in questi giorni.
Nel lavoro con Marcorè e Gioè - ripeto, realizzato benissimo, ripeto, che fa apparire ancor più scandaloso che non si consideri il valore sociale del lavoro dellArchivolto, di Pina Rando, di Giorgio Gallione e il loro impegno in un quartiere come Sampierdarena - manca il coraggio di parlare degli studenti. Perchè Pasolini e Gaber sono scandalosi, eretici e corsari anche su quello che non fa comodo alla sinistra, a ogni sinistra.
E così le parole di Giorgio in Quando è moda è moda e le parole di Pier Paolo sulla rivolta di Valle Giulia sarebbero state perfette per lo spettacolo. Profetiche, parallele e coraggiose. Perchè non ci sono? Perchè Gallione non ce le ha messe? Perchè fra i tanti paralleli sul comunismo e sul consumismo e sul cancro e sul processo allo Stato non si è trovato spazio anche per quello sui movimenti studenteschi e sulla violenza, che sarebbero stati attualissimi anche a Genova, anche in questi giorni?
Non ho le risposte, mi piacerebbe che arrivassero. E mi piacerebbe che Giorgio Gallione, che è uno dei pochi intellettuali veri in città, rispondesse con parole diverse rispetto a quelle abbastanza scontate sul fatto che Gaber ha scritto talmente tanti testi che è difficile metterli tutti in uno spettacolo di unora e mezza o sul fatto che la poesia di PPP su Valle Giulia è stracitata, a volte a sproposito, e che quindi ripeterla per lennesima volta sarebbe stato tautologico.
Ripetere il signor G e PPP, soprattutto in questi giorni, non è affatto superfluo. Anzi. È un dovere civile, è un imperativo categorico. E tutta la nostra solidarietà va a chi è stato assaltato ieri, anche a chi non ha solidarizzato con il Giornale quando eravamo noi ad essere sotto attacco dei centri sociali, anche a quelli che mi hanno spiegato di non aver speso una parola perchè loro il Giornale non lo leggono. Soprattutto, la nostra solidarietà va a Marta Vincenzi (che allora si era fatta sentire) alla Lega Nord e al Secolo XIX, giornale di cui io stesso spessissimo non condivido la linea, ma che ha come direttore un ottimo giornalista e una persona perbene come Umberto La Rocca, che abbraccio pubblicamente.
E quindi, visto che non lhanno fatto loro sul palco, lo faccio io. Li cito io Gaber e Pasolini paralleli. In Quando è moda è moda Giorgio se la prende proprio con «autisti di piazza, studenti, barbieri, santoni, artisti, operai, gramsciani, cattolici, nani, datori di luci, baristi, troie, ruffiani, paracadusti, ufologi...» e urla al mondo che le facce dei contestatori gli sembrano «già facce da rotocalchi o da enti del turismo», «e visti alla distanza non siete poi tanto diversi dai piccolo borghesi che offrono champagne e fanno i generosi che sanno divertirsi e fanno la fortuna e la vergogna dei litorali più sperduti e delle grandi spiagge della Sardegna». E quindi, in attesa di sapere perchè non lhanno fatto Marcorè e Gioè, il Pasolini di Valle Giulia lo cito io. E lo cito in particolare dopo aver letto e visto cosa è successo ieri a Genova: «Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle università) il culo. Io no, amici. Siete paurosi, incerti, disperati, (benissimo), ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccolo borghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte con i poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti!».
Ogni parola ha la forza di un pugno nello stomaco di un movimento, ogni aggettivo pasoliniano un peso specifico enorme: «Perchè i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di essere stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre incallita come un facchino, o tenera, la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati); i bassi sulle cloache o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari, eccetera, eccetera...». Su, su, fino alla conclusione: «A Valle Giulia, ieri si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi amici (benchè dalla parte della ragione) eravate i ricchi. Mentre i poliziotti (che erano della parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi ai poliziotti si danno i fiori, amici».
Parole straordinarie che fanno il paio con quelle di Giorgio Gaber in Polli dallevamento, dieci anni dopo, ma più di trentanni fa: «E siete anche originali, basta ascoltare qualche vostra frase piena di nuove parole, sempre più acculturate, sempre più disgustose, che per uno normale, per uno di onesti sentimenti, quando ve le sente in bocca avrebbe una gran voglia che vi saltassero i denti».
Gaber e Pasolini, a mio parere, sono gli unici veri, grandi, intellettuali italiani di sinistra degli ultimi quarantanni. Folli, visionari, eretici e corsari, per lappunto. Pronti a sfidare limpopolarità, a viaggiare controcorrente, ad essere diversi. A condannare il buonismo nel Potere dei più buoni o a rimpiangere le lucciole e la loro scomparsa. Gaber e Pasolini sono i miei intellettuali.
E resto a Genova per urlare le loro parole di quaranta e di trentanni fa anche a quelli che pensano che una riforma delluniversità si migliori assaltando banche, giornali e vetrine. E resto a Genova per dire queste cose.
Eretico. E corsaro.
Io resto.
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