La Rete? E' il paradiso dell'anarco-capitalismo

Comunità volontarie in cui l’individuo è più importante del gruppo e assenza di dirigismo "statalista". Le esperienze condivise nel mondo "virtuale" migliorano quello reale. Ecco perché web significa libertà: continua la serie di articoli su internet visto da destra, per evidenziare come sia possibile un altro web, in linea con i principi liberali. Di' la tua opinione nel forum

La Rete? E' il paradiso dell'anarco-capitalismo

Internet non ha rappresenta­to solamente un’innovazio­ne tecnologica dalle appli­cazioni più disparate. La Re­te è molto di più, essa rappresenta il modello socio-politico che cen­tinaia di anni di teoria libertaria hanno immaginato, dibattuto, elaborato, proposto. Il Web è il prototipo del mondo che un anar­co- capitalista vorrebbe vivere, è l’insieme delle comunità volonta­rie per antonomasia, è la prova provata che «la società senza Sta­to » non è un’utopia. In quel mon­do un po’ virtuale, ma un po’ no,si fanno concreti alcuni dei principi che il movimento libertario- ovve­ro coloro che, storicamente, han­no pensato e agito in termini di li­bertà individuale- ha iniziato a far conoscere al mondo da Rothbard in poi, ma che sono argomento di dibattito filosofico e intellettuale dai tempi Lao Tzu.

La difesa della vita, della libertà e della proprietà sono i paradigmi su cui si fonda il libertarismo. La non aggressione è il principio che sottende la costruzione di un’ag­gregazione di persone libere. La li­bertà di scegliere è la pietra ango­lare su cui prende forma l’azione umana, ovvero il diritto di ciascu­no di noi di poter fare quel che si vuole, nel pieno rispetto delle vo­lontà e dei diritti di proprietà al­trui. Per dirla con Herbert Spen­cer è «la legge della eguale liber­tà». Internet è tutto questo.

Il World Wide Web rappresenta la voglia di Fuga dallo Stato , come dal titolo di uno dei primi libri che la mia casa editrice ha pubblicato oltre dieci anni fa. Scriveva Alber­to Mingardi in quel volumetto: «Internet è qualcosa di più di un semplice strumento. È un nuovo mondo in cui operare, un mondo senza Stato dove, liberamente, mi­lioni di individui decidono di in­contrarsi. Nell’epoca della crisi dello Stato nazione, esempi come quello di Laissez Faire City o delle città private americane appaiono quantomai illuminanti».

Libertà e Stato rappresentano due concetti antinomici, forse agli antipodi, e indicano due mon­di diversi. Se lo Stato fonda se stes­so sull’idea della «dittatura delle maggioranze sulle minoranze», sulla «oppressione legislativa e del diritto positivo», sulla «schiavi­tù fiscale», sugli «inviolabili confi­ni territoriali», sul «monopolio della violenza», dire libertà signifi­ca, al contrario,pensare all’indivi­duo come epicentro della sovrani­tà, altresì all’idea che liberi indivi­dui possono scegliere di stare in­sieme per comunanza di idee, di escludere qualcuno per incompa­tibilità ideologiche, di appartene­re alla stessa «nazione» pur essen­do lontani l’uno dall’altro. Al­l’idea di Stato, insomma, si con­trappone quella di comunità vo­lontaria, alla quale si accede non per cooptazione benevola, ma per contratto. Dalla quale si può essere estromessi se, diversamen­te, viene a mancare il rispetto di quei presupposti, e di quelle rego­le (non per forza scritte), che fan­no di quel gruppo di persone una «società fra affini».

In Internet, tutto questo è già re­altà e­non sono degli avatar che de­cidono e agiscono. Se Tizio può es­sere accolto fra gli amici di Caio su Facebook, la scelta spetta a un in­dividuo in carne e ossa, che così come lo accetta nella sua stretta cerchia, senza chiedere permes­so ad alcuno, può decidere di escluderlo dal suo mondo per al­tre ragioni. Tutto con un click, an­che se quel click sottende un pen­siero filosofico forte. In Internet nascono, muoiono e vivono milio­ni di comunità tra le più disparate (con milioni di individui attiva­mente impegnati), per accedere alle quali non esiste alcun diritto costituzionale o legale.

Molto altro però, in Rete, è già re­altà: dai social network alle scuole private che non rilasciano titoli di studio, dalle comunità di scambi­sti a quelle che si­occupano di tran­sazioni economiche di ogni gene­re, da raggruppamenti che parla­no e scrivono lingue minoritarie ai nazionalisti integralisti. Grazie al Web convivono nella loro estre­ma diversità. Lì assistiamo al rifio­rire di istituzioni naturali e «a-sta­tali», frutto sin dagli albori dell’or­dine spontaneo dell’interazione individuale, come sono state in passato la lingua, i mercati e la mo­neta. A proposito di quest’ultima, il progetto «Bit-coins» sta incri­nando l’idea che solo una Banca Centrale possa emettere e/o stam­pare denaro. Certo, la miriade di comunità volontarie che occupa­no il mondo digitale sono perlo­più «a-territoriali», ma non per questo continueranno a esserlo. Internet è una palestra straordina­ria per le idee co­erentemente liberali che vogliono trovare sfogo nel mondo reale. L’empirismo inter­nettiano è il passo intermedio per costruire, in un prossimo futuro, comunità volontarie alla luce del sole, magari sulla scorta di quel proprietarismo condominiale che poggia le sue basi sulla libera contrattazione e sull’adesione convinta a regolamenti specifici.

In conclusione: «comunità vo­lontarie» e «comunitarismo» non vanno confusi.

Se il secondo pog­gia sul credo che la comunità deb­ba sempre avere la precedenza sull’individuo e sulle sue preferen­ze, le prime - all’opposto - fonda­no la loro ragion d’essere sull’ade­sione convinta e non coercitiva di individui unici e consapevolmen­te liberi.

* editore e fondatore di «Movimento Libertario»

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