Nel compleanno delle sanguinose elezioni iraniane, il Times di Londra ha impacchettato un bel regalo per Mahmoud Ahmadinejad: è la notizia che l’Arabia Saudita avrebbe compiuto test significativi nel campo aeronautico e della difesa missilistica. Avrebbe sperimentato la disattivazione dei sistemi di scrambling, ovvero di messa in avaria di meccanismi utili a chi viola il suo spazio, e quella dei sistemi missilistici destinati a colpire qualsiasi velivolo si azzardi a sorvolare il regno sunnita. Lo scopo è evidente: consentire a Israele di utilizzare lo spazio aereo dell’Arabia Saudita, paese che non riconosce Israele, aprendo una scorciatoia verso il bombardamento delle strutture atomiche iraniane. Sarebbe stato anche previsto il rifornimento in volo dei jet. In caso di attacco israeliano alle installazioni nucleari iraniane, infatti, gli obiettivi distano circa 2.250 chilometri, un’immensità se non si accorcia la strada passando per il Nord dell’Arabia saudita.
Secondo fonti del Golfo, i sauditi potrebbero aprire uno stretto corridoio e spegnere i sistemi di difesa. Ma è chiaro che passerebbero svariate ondate di bombardieri che dovrebbero sorvolare anche Giordania e Egitto, due Paesi in pace, sia pure con controversie continue, con Israele. Due Paesi sunniti come l’Arabia Saudita, in genetica contrapposizione con lo sciismo estremista e conquistatore di Ahmadinejad.
Anche il cielo dell’Irak non potrebbe restare vergine, ma gli americani da quelle parti contano per qualcosa. E secondo fonti del Dipartimento di Stato non hanno mai mosso obiezioni definitive a questa opzione. Israele, che ha mosso almeno un sottomarino atomico attraverso il Canale di Suez per piazzarlo nel Mar Rosso, con l’accordo saudita vedrebbe molto accresciute le sue possibilità di fermare il nemico che ha espresso l’intenzione di distruggerlo. Ma Israele è circondato da chi, come i sauditi, è in costante aggressiva polemica con Gerusalemme. Tuttavia, fu con l’uso dei cieli turchi, nel 2007, che colpì le strutture nucleari siriane di Dar Alzour. Gli aerei israeliani potrebbero cercare di colpire le centrali di arricchimento dell’uranio di Natanz e Qom, il deposito di gas di Isfahan, i reattori ad acqua pesante e leggera di Arak e Bushehr. Alcuni di questi obiettivi sono sotto terra o dentro le montagne.
Come si sa che esiste questo accordo? Lo si sussurrava da tempo: Meir Dagan, capo del Mossad, ha incontrato da poco i suoi omologhi sauditi, ed Ehud Olmert, quando era premier, ha incontrato i governanti sauditi; di certo, la cosa è finita per una sigla ideale sul tavolo del Dipartimento di Stato americano.
Insomma, anche se Barack Obama è intento in questi giorni a vantare il risultato diplomatico ottenuto nel portare tutti i membri del Consiglio di Sicurezza fuorché la Turchia e il Brasile (amici dell’Iran che si erano offerti di prendersi cura dell’uranio), sembra che il mondo non si fidi granché delle sanzioni. È opinione generale che all’unanimità, ovvero all’assenso di Cina e Russa, sia stato sacrificato l’elemento che avrebbe davvero messo l’Iran in ginocchio: la proibizione di esportare nel paese prodotti di petrolio raffinato, perché Teheran è ricca di petrolio, ma la benzina non la può raffinare, e quindi dipende dal supporto straniero.
Ahmadinejad ha detto che le sanzioni sono come un fazzoletto usato da buttare, e saranno svelate nuove strutture atomiche. Che le sanzioni siano un’opzione incerta sembra dimostrato dal fatto che Usa, Francia e Inghilterra abbiano simulato il 9 giugno l’attacco a obiettivi su terra dalla nave Henry Truman, dalla Charles De Gaulle e da una base britannica: il campo militare di Canjuers vicino a Tolone simulava un obiettivo iraniano. Israele non si sbilancia.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.