24 gennaio 1995, seduta alla Camera. Si era appena aperta la parentesi del governo tecnico di Lamberto Dini dopo la caduta del primo governo Berlusconi, per l’offensiva giudiziaria dei pm e il «ribaltone». Ecco cosa pensava allora Gianfranco Fini, leader di An...
di Gianfranco Fini
Onorevole presidente, signor presidente del Consiglio, colleghi, credo innanzitutto di dover adempiere un dovere, che è quello di esprimerle, presidente Dini, tutta la nostra umana comprensione. Lo faccio perché lei è vittima - e non per sua responsabilità, come cercherò di dimostrare da qui a un attimo - di un evidente paradosso, una sorta di impazzimento della politica italiana. Come abbiamo avuto modo di ascoltare, lei si accinge infatti a ricevere il voto di fiducia da una serie di uomini e di forze che certamente fino a qualche giorno fa davano di lei e del suo operato come ministro del governo Berlusconi un giudizio assai diverso rispetto a quello che- un po’ ipocritamente, a mio modo di vedere le hanno espresso in quest’aula. Lei riceverà, infatti, il voto di fiducia dei parlamentari del gruppo del Pds, che fino a qualche tempo fa la consideravano un alfiere delle politiche (...) antisociali. (...) Era apparso chiaro, almeno ai suoi, ma non soltanto a noi, che nel momento stesso in cui fosse venuto meno il governo Berlusconi - per decisione di chi qualche tempo fa amava dire, nell’immaginario leghista, che il 1995 sarebbe stato l’anno del samurai, mentre al contrario oggi si può tranquillamente definire come l’anno del kamikaze (...) ma con un Parlamento eletto per la prima volta nella storia repubblicana, in virtù di una legge elettorale maggioritaria. Credo, infatti, che vada ricordato che questo è un Parlamento eletto per il 75 per cento con il sistema maggioritario e che quest’ultimo determina per forza di cose talune conseguenze, quando si apre una crisi di governo, diverse da quelle che si producono inun sistema democratico parlamentare con un Parlamento eletto in virtù di una legge proporzionale. (...). E la regola era ed è molto semplice: a chi appartiene, in una democrazia, la sovranità? Si è affacciato questo ragionamento, che non è nuovo: ricordo un messaggio alle Camere del presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, che conteneva questo concetto, che tanto fece discutere. In una democrazia, a chi appartiene lo scettro della sovranità? Appartiene al Parlamento o agli elettori che delegano i deputati e i senatori a esercitare il mandato? (...) Mi limito a sottolineare che accanto al Pds, al Partito Popolare e a coloro che in buona sostanza erano stati sconfitti il 27 marzo (1994, ndr ), vi erano anche altri autorevoli interlocutori. Non mi riferisco soltanto al ruolo che ha avuto il Presidente della Repubblica - di cui parlerò da qui a un attimo - ma ad esempio al ruolo dei sindacati, che in un corretto nuovo sistema democratico nel quale siano finalmente chiare le regole dovrebbero - io credo- essere ricondotti alla loro naturale ed istituzionale funzione, cioè quella di rappresentare interessi legittimi dei lavoratori e non di dare consigli al capo dello Stato o ad altri. (...) Il governo delle regole o quello in cui si sia un po’ tutti insieme - anche se poi si è in dissenso sulle cose da fare - credo che sia, quello sì, un artificio dialettico degno dei bizantinismi della prima Repubblica. (...) Dicevo qualche istante fa che non vi è però ombra di dubbio che, fra i tanti motivi che hanno reso la situazione così difficile, uno a nostro modo di vedere deriva dal ruolo politico che ha assunto il capo dello Stato. (...) Penso, però, che rivolgere critiche politiche al presidente della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro, ndr ), sostenendo che egli ha assunto un ruolo politico in una crisi, non sia vilipendio. Qualora si decidesse che, al contrario, di vilipendio si tratta, affronterei serenamente il giudizio di un’eventuale aula di tribunale (...). Non vi è ombra di dubbio che il presidente della Repubblica ha avuto un ruolo politico. (...) Noi crediamo che il presidente Scalfaro nella crisi abbia assunto un ruolo politico: ha affermato solennemente, nel corso del messaggio di Capodanno, ma anche nelle udienze alle quali tutti i leader di partito sono stati chiamati dopo la crisi del governo Berlusconi, che a suo modo di vedere non era assolutamente un fatto patologico lo scioglimento delle Camere, ma si trattava di una normale fisiologia democratica, pur essendo evidente a tutti che era un fatto traumatico. (...) È infatti apparso evidente a tutti che, pur considerando le elezioni un fatto fisiologico e non patologico, non aveva alcuna intenzione di prendere neppure in considerazione l’ipotesi di sciogliere il Parlamento se non dopo aver verificato l’impossibilità di dar vita a un governo. Ma come ha operato tale verifica? (...) Un governo di tregua, un «governo parentesi», un governo tecnico, un governo capace di stemperare la tensione in attesa di ridare la parola alla politica e agli elettori, affinché determinino una maggioranza politica che risulti tale dal confronto tra due poli alternativi (è questo il punto: alternativi). (...) Ma se i due mesi diventano sei, nove o dodici, non siamo più alla tregua, siamo alla coabitazione, viene meno lo spirito di un sistema elettorale maggioritario, di un sistema bipolare che vede, per forza di cose, democraticamente a confronto due schieramenti alternativi. (...) Sono vecchi, vecchissimi, logori schemi propagandistici. La politica è un’altra cosa! Noi non l’abbiamo fatto perché abbiamo voluto rimanere leali.
A che cosa? A un uomo?A un’esperienza di governo? Certo, anche; leali però soprattutto a un impegno che abbiamo assunto con gli elettori; perché in campagna elettorale destra e sinistra, centro e vari intermedi schieramenti hanno chiesto il voto vincolando quel consenso. (...) Mi auguro che alla fine prevalga la volontà di tutti - a partire dal capo dello Stato di mettere fine a questa parentesi e di tornare al voto!Gianfranco Fini
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