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Il ricercatore dei cibi d'oro ci mette nel piatto il plancton

Gira il mondo per scoprire le materie prime più raffinate e rare. E consigliarle agli chef stellati

Il ricercatore dei cibi d'oro ci mette nel piatto il plancton

I l gusto è un senso che va allenato. «Per scovare cibi rari e preziosi non basta l'intuito. Bisogna studiare, aggiornarsi. Perché a mangiare bene si impara». Riccardo Uleri ci accoglie nella stanza più importante della sua azienda a Pogliano Milanese, alle porte della Brianza. Il suo ufficio operativo è una cucina. Un'isola di acciaio che sta al centro della scena, quindi forni, piastre e fornelli. È l'ora della pausa pranzo ma alla Longino&Cardenal stanno lavorando: è il momento più importante, la prova dell'assaggio. Quello in cui gli agenti-venditori scoprono le caratteristiche che rendono le pietanze così ricercate, per poi sottoporle ai grandi chef degli hotel e dei ristoranti più esclusivi d'Italia e del pianeta. Oggi, davanti a loro, hanno delizie come i gamberi rossi crudi di Mazara del Vallo, lo jamon de Bellota di Salamanca, il baccalà dissalato delle isole Far Oer. La portata clou, però, è il roast beef di vacca vecchia galiziana. «Passa 13-14 anni al pascolo prima di essere macellata. Ma quello che lo rende veramente unico sono le 25 sfumature di grasso, potete contarle se volete», disquisiscono.

Uleri sorseggia champagne di Damery, dalla valle della Marna, e parte da dove tutto è cominciato. «Niente a che vedere con il cibo: ho iniziato nell'azienda tessile di famiglia, a Legnano. Ma non era quella la mia strada. A 27 anni è arrivata la svolta, quando ho incontrato quasi per caso quattro ragazzi con la passione per l'alta ristorazione, che a La Spezia avevano fondato un'azienda che importava materie prime particolari dall'estero per rivenderle a ristoranti e gastronomie specializzate. Il loro primo colpo fu commerciare il caviale fresco proveniente dall'Iran. Però erano in crisi, avevano a malapena un paio di impiegati, non riuscivano a stare dietro al business e volevano cedere l'attività». Un'occasione da prendere al volo. «Rilevai la maggioranza delle quote e nel 1993 trasferii la sede a Pogliano Milanese. Oggi abbiamo 1.800 prodotti in catalogo, partono mille ordini alla settimana per 4mila clienti all'anno. Il fatturato è di 20 milioni di euro. Diciamo che un po' siamo cresciuti, da allora... Ho mantenuto il nome originario perché suonava bene e mi piaceva la storia che c'era dietro, avevano pure un fumetto». Longino è uno svizzero di nobili origini, Cardenal è un pescatore cubano. Quello che li unisce è la passione per il viaggio. «Io ho investito la mia vita nei viaggi e nella ricerca - dice Uleri -. Come si fa a riconoscere materie prime e ingredienti rari? Il difficile non è tanto trovarli, quanto individuare quelli veramente validi e unici, ottenerne la distribuzione in esclusiva. Si comincia dalle fiere di settore, ci si ferma a parlare e ad ascoltare le storie dei piccoli produttori che il mercato su larga scala per mille ragioni ignora. Poi c'è il passaparola dei colleghi, anche se in Italia quelli che fanno il nostro lavoro si contano sulle dita di una mano. Più raramente, capita che ti arrivino delle proposte sul tavolo e allora prendi un aereo e vai a vedere, anzi, ad assaggiare di persona». Settimane intere da un aeroporto all'altro, pranzi e cene in alberghi e in locali da nababbi. Ma fare il ricercatore di pietanze a peso d'oro non significa soltanto muoversi tra comodità e lusso. «Mi è capitato di fare viaggi davvero avventurosi - racconta l'imprenditore -. Alla fine del mondo, nel senso della Patagonia cilena, o come quella volta nella Lapponia norvegese con 24 ore di luce al giorno, mangiando uova di gabbiano mentre aspettavamo branchi di salmoni selvaggi; oppure negli Stati Uniti, in Montana, nei ranch a spostare le mandrie a cavallo...».

Negli ultimi tre anni Uleri ha praticamente vissuto a Hong Kong, dove ha lanciato la terza sede della Longino&Cardenal, dopo quelle di Milano (che raggiunge tutta Italia) e Dubai (per servire la platea emergente degli sceicchi, puntando al Medio Oriente). Da quell'angolo d'Asia, invece, è tornato con un tesoro culinario a dir poco sorprendente: il plancton marino. «Proprio così, ha notevoli proprietà nutritive ed è un'eccellenza assoluta. La prima volta me lo hanno portato in una scatola in un ristorante di Hong Kong, l'ho fotografata, sono andato a cercare l'azienda andalusa che lo coltiva a El Puerto de Santa Maria, Cadice. Mi hanno convinto, e l'ho portato qui da noi». L'aspetto esteriore è di una polverina di colore verde intenso. «Il plancton è perfetto per preparare marinature, salse, spume e gelatine ma le sue applicazioni sono infinite, sta alla maestria e alla fantasia di chi cucina trovare la soluzione più accattivante. Carlo Cracco ci ha fatto un risotto spettacolare». Sono gli chef ad alzare ogni giorno l'asticella del gusto e della sperimentazione. «I cuochi, si diceva qualche tempo fa, oggi sono diventati delle superstar. Sono degli artisti a tutti gli effetti, come pittori o musicisti. Oltre a Cracco, collaboriamo con stellati del calibro di Uliassi, Cannavacciuolo, Berton... solo per fare qualche nome». In un'epoca in cui sedersi a tavola può spalancare mondi sensoriali inesplorati, sorge un problema di accessibilità. La qualità, forse, non è per tutti e rischia di restare un privilegio di pochi. Uleri ha un approccio pragmatico: «La qualità ha uno standard di costo diverso rispetto alla grande distribuzione, è normale, ma non è una questione soltanto di portafoglio. L'eccellenza sta anche in cibi popolari come salumi e gnocco fritto, non solo nel foie gras. La qualità fa la differenza, parla da sola e non ha bisogno di timbri o etichette. E porta con sé altri valori, come la sostenibilità».

Il fascino di cibi lontani ed esotici seduce i consumatori tanto quanto la filosofia bio e del km0, paradossi della glocalizzazione. «Il chilometro zero in Italia esiste da sempre, non si inventa niente di nuovo. Nel mio settore però, che è una nicchia, il buon prodotto non deve avere confini. Tradotto: se l'acciuga migliore è in Spagna io vado laggiù, o quel granchio particolare so che lo troverò soltanto in Alaska». Perché il Risiko in cucina non ammette pause. Uleri ha già in mente le prossime terre da conquistare. «Mi incuriosiscono molto i fiori commestibili dell'Alto Adige. E vorrei scandagliare meglio il Giappone, dove ci sono dei tesori ancora tutti da scoprire: la ricciola, le alghe, il pepe...».

L'appetito vien viaggiando.

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