Ripartire da una «mancia». Si può

Difficile immaginare come venti milioni di incentivi possano aggredire la crisi del settore nautico. Tuttavia la pur esigua somma destinata dal governo, è degna di essere passata sotto la lente d’ingrandimento. Per dirla con il presidente di Ucina, Anton Francesco Albertoni, quel decreto rappresenta una vittoria storica degli imprenditori contro radicati pregiudizi: è un fatto politico di notevole portata.
Dopo oltre mezzo secolo di storia, infatti, all’industria nautica italiana viene ufficialmente riconosciuto un ruolo di «pari dignità» con altri settori che, non sempre a ragione, si contendevano la prima fila. Meglio tardi che mai. Da noi, anche i tempi della ragione sono molto lunghi. Però tanto è occorso per capire che l’industria nautica è stabilmente da oltre trent’anni fra i cinque settori che determinano le sorti della nostra economia. La storia della nautica affonda le sue radici nei secoli, nei millenni se consideriamo la flotta dell’Impero romano che solcava il Mediterraneo da est a ovest e viceversa. Una storia gloriosa, fatta di uomini coraggiosi. E di invenzioni geniali.
E così, il day after è cominciato con la delusione di molti comparti per l’esiguità delle somme messe sul piatto dal governo. Un piatto che piange, si dice in giro. Sia chiaro, 300 milioncini non risolveranno i problemi di nessuno. Anzi, forse scontentano tutti, ma per la nautica in particolare, mai al centro di cotante attenzioni, il discorso è diverso, soprattutto in tempi di vacche magre. E per tante buone ragioni. Una su tutte: al momento del terremoto finanziario globale, il comparto era in ottima salute, potendo anzi contare su buoni margini di ulteriore crescita potenziale. In altre parole la crisi iniziata nell’autunno 2008, per la nautica è stata di tipo congiunturale, quindi non legata a cause endogene. Possibile, allora, trasformare la «mancia» in una miniera? Gli imprenditori sono convinti di poter mettere a frutto, meglio di altri, le risorse erogate dallo Stato: senza dubbio limitate, ma non per questo meno preziose. Tanto che le aziende fanno i conti, ipotizzando che l’incentivo per l’acquisto di motori fuoribordo genererà vendite fino a 10mila pezzi e che, nel 50% dei casi, queste vendite traineranno anche l’acquisto di nuove piccole imbarcazioni o battelli pneumatici, contribuendo così a rimettere in moto il mercato della nautica minore. Lo stesso discorso valga per i nuovi stampi (ricordiamo che il contributo massimo è di 200mila euro). Grazie agli incentivi, i cantieri saranno in grado di lanciare sul mercato almeno 60-70 nuovi modelli, creando così lo stimolo per nuovi acquisti.
In pratica, secondo un condivisibile ragionamento di Ucina-Confindustria Nautica, si tratta di un vero e proprio circolo virtuoso che potrebbe riportare nelle casse dello Stato molti più quattrini di quelli erogati, proprio attraverso il non trascurabile gettito Iva.
Per concludere, non si tratta di una manovra nell’interesse di pochi e fortunati possessori di megayacht, ma di un’operazione di buon senso, che individua proprio nella nautica uno dei motori per continuare a tenere alto il prestigio del made in Italy in tutto il mondo.

In fatto di pregiudizi e discriminazioni, infine, da sottolineare la continuità delle «buone» tradizioni sindacali italiane: dall’inizio della crisi a oggi non abbiamo visto lo straccio di una «sigla» fare la voce grossa o scendere in piazza per difendere aziende e 120mila lavoratori figli di nessuno.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica