Risolutive le protesi al ginocchio

Nello scorso anno, in Italia, sono stati compiuti quasi 20 mila interventi di protesi alle ginocchia. L’innesto di artroprotesi al ginocchio cresce del 20-30% ogni anno. Questo dato, rapportato con l’incremento del 2-5% annuo per gli impianti di protesi di anca, testimonia l’enorme espansione della richiesta di questi interventi. «L’artroprotesi del ginocchio è un dispositivo meccanico che il chirurgo ortopedico impianta in pazienti con varie patologie, per sostituire l’articolazione malata ed inutilizzabile», spiega il dottor Domenico Siro Brocchetta, primario della divisione di chirurgia protesica di anca e ginocchio del Policlinico di Monza. Brocchetta, dopo la laurea in medicina e la specializzazione in ortopedia all’università di Milano, ha trascorso alcuni anni a Boston a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. Nel campo della chirurgia del ginocchio ha la maggiore casistica italiana di trapianti cartilaginei. È stato il primo nel mondo ad eseguire un innesto autologo di condrociti senza copertura periostea. «L’intervento di protesizzazione dell’articolazione del ginocchio rappresenta – afferma Brocchetta - la soluzione definitiva a patologie come l’artrosi, un processo degenerativo delle cartilagini che provoca forti dolori ed immobilità. Per le forme evolutive e invalidanti la terapia chirurgica rappresenta l’unica chance risolutiva. I risultati funzionali delle artroprotesi sono eccellenti nella quasi totalità dei casi, con il ripristino del corretto asse dell’arto, il recupero completo del movimento e dell’autonomia e la scomparsa del dolore».
Le prime rudimentali protesi di ginocchio risalgono ad un periodo relativamente recente: infatti, anche se i primi esperimenti di interposizione di materiale tra le cartilagini risalgono al 1860, la prima vera protesi completa di ginocchio venne effettuata solo nel 1940. La prima applicazione clinica su un numero significativo di pazienti risale invece al 1950, quando venne adoperato un piatto metallico in sostituzione di un’equivalente componente ossea tibiale. Nel 1970 a livello industriale si realizzò la prima protesi completa di ginocchio. Gli anni successivi si moltiplicarono le innovazioni. «Negli anni Novanta – prosegue Brocchetta - viene portata avanti la tecnica di fissazione biologica e l’interfaccia protesi-osso viene ricoperta di idrossiapatite (una sostanza con caratteristiche molto simili alla frazione minerale del tessuto osseo) in grado di assicurare un migliore ancoraggio. L’evoluzione tecnologica in questo campo continua quindi ad ampliare la rosa delle soluzioni per il recupero della mobilità articolare del ginocchio. In particolare la ricerca è tesa a progettare protesi efficaci, che permettano dei movimenti sempre più vicini a quelli naturali, che risultino ben tollerate, e che siano impiantabili con un intervento sempre meno “demolitore”, assicurando la stabilità del ginocchio».
Brocchetta è convinto che anche nella chirurgia protesica del ginocchio i risultati positivi che si ottengono sono soprattutto una conseguenza dell’esperienza e della professionalità del team chirurgico. «L’impiego del navigatore è limitato ad un ristretto numero di casi e fa crescere la possibilità di infezioni. Il computer poi – prosegue Brocchetta - non può mai sostituire il chirurgo e richiede lunghi tempi per la messa a punto. Le alterazioni regressive della cartilagine, purtroppo, non sono reversibili. Non esiste quindi nessuna terapia medica capace di far regredire l’artrosi. Si può solo cercare di prevenirla, di ritardarne l’evoluzione, di limitare il dolore, e, talora, di migliorare il movimento articolare. La terapia medica ha solo alcune premesse scientifiche razionali, è di recente acquisizione ed è asintomatica: attenua momentaneamente il sintomo, cioè il dolore». Dopo l’intervento i tempi di recupero sono veloci.

«Il paziente può alzarsi dal letto e camminare con le stampelle già dopo solo 2-4 giorni, la riabilitazione completa avviene dopo 2-3 mesi. L’uso della ciclette facilita il recupero funzionale, importanti le camminate, il nuoto va ancora meglio. La fisioterapia deve essere attiva».

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