«Ma le risposte negative furono tante»

«Dai documenti emerge che il Vaticano non era affatto contro gli ebrei né tantomeno antisemita». Così il professor Matteo Luigi Napolitano legge le carte dell’Archivio Segreto Vaticano rese disponibili grazie all’apertura dei fondi riguardanti il pontificato di Pio XI (1922-1939).
Che valore hanno questi documenti?
«Il valore di questi documenti è anzitutto quello di offrire registri molto più complessi per valutare il ruolo del Vaticano di fronte ai problemi razziali. In generale, possiamo dire ormai sorpassata l’interpretazione che vede sempre e ovunque “i Papi contro gli ebrei”. Nel caso che qui ci interessa, l’atteggiamento della Santa Sede non è affatto “contro” gli ebrei e tanto meno antisemita».
Si parla quasi sempre di ebrei convertiti: la Chiesa si mosse soltanto per loro?
«I documenti dell’Archivio Segreto Vaticano ci dicono esattamente l’opposto. Il Vaticano non pone un aut-aut (la conversione requisito essenziale dell’assistenza), ma trova molto più giusta la politica dell’et-et (si opera per i tanti ebrei convertiti che chiedono aiuto, non rifiutando l’aiuto anche ai non convertiti). I documenti ci dicono che già nel novembre del 1938 questi sono tanti. In Italia molte conversioni si realizzano a ridosso delle leggi razziali, ossia a tempo di record, e rappresentano un mezzo per sfuggire alla discriminazione. La Santa Sede sapeva benissimo che esse avevano tale unico scopo. Occorrerebbe quindi dire più esattamente che la Chiesa si mosse inizialmente per moltissimi ebrei, che si erano convertiti al cattolicesimo solo per sfuggire alle leggi razziali, per poi estendere a tutti gli ebrei il suo raggio d’azione».
L’appello del cardinale Mercati, che Pio XI fa proprio spedendolo ai cardinali americani e canadesi, è la prima iniziativa vaticana in favore degli ebrei?
«Assolutamente no. Già il 4 aprile 1933, cioè più di cinque anni prima, quando iniziavano le discriminazioni antiebraiche in Germania, il cardinale Eugenio Pacelli aveva dato disposizioni al nunzio a Berlino di intervenire in favore di un gruppo di ebrei tedeschi. E in quel caso non erano ebrei convertiti».
Perché gli appelli della Santa Sede ricevettero così tante risposte negative?
«Anche in Paesi geograficamente lontani dall’Asse gli ebrei erano purtroppo considerati un “problema”, nemmeno tanto pudicamente camuffato sotto forma di “norme sull’immigrazione”, stranamente molto rigide anche in Paesi di consolidata accoglienza. Gli ebrei (anche se convertiti) trovarono dunque molte frontiere sbarrate. Quali le ragioni? Nei Paesi di tradizione cattolica esisteva certo un retaggio di antigiudaismo misto a xenofobia. C’era poi il timore che il sistema economico risentisse dell’immigrazione ebraica. Non si deve dimenticare che alcuni governi non erano così lontani dal calcare le orme di Hitler e di Mussolini nella discriminazione (anche se non nella persecuzione) degli ebrei. Che l’antisemitismo non fosse prerogativa dei nazisti, ma albergasse anche in nazioni “libere” e democratiche, non è una novità».
Perché la Santa Sede non protestò pubblicamente contro le leggi razziali?
«Posta in questo modo, la domanda chiama in causa non solo la Chiesa cattolica ma anche le altre Chiese cristiane, la Croce Rossa Internazionale e non poche delle stesse organizzazioni ebraiche. La protesta nuda e cruda, magari plateale, non è una linea operativa, anzi di per sé implica che se ne accetti l’effetto: ossia l’annullamento dell’efficacia operativa di una complessa rete di assistenza attivata in mezzo a gravi difficoltà, con grandi sforzi e tanta pazienza.

Il Vaticano aveva poi alle spalle anni di aspro contenzioso con la Germania proprio sui temi razziali e a partire dal 1928 aveva pubblicato documenti contro l’antisemitismo, aveva messo all’Indice le opere di Rosenberg, ideologo-guida del nazismo. La protesta “verbale” estemporanea avrebbe rischiato di compromettere l’organizzazione e la gestione di una rete di aiuti».

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