Gian Micalessin
S ono nemici per forza. E per destino. Dimenticate pure le favole sui tanto discussi favori elettorali della Russia di Vladimir Putin a Donald Trump. Se anche ci sono stati non hanno cambiato il destino delle due grandi potenze condannate, per il momento, a confrontarsi in uno spietato e sconfinato risiko globale. Per capirlo basta un'occhiata alle varie crisi internazionali e al ruolo assunto da Mosca e Washington. Dalla crisi Ucraina alla Siria, dalla Corea del Nord alla Libia fino all'Artico, non c'è buco nero del globo dove la vecchia «guerra fredda» non sia tornata d'attualità. Partiamo dai territori di Damasco, vero crogiolo da oltre sei anni di tutti i problemi mediorientali. Lì, per dirla con i cinesi, se il dito indica la Siria solo lo stolto guarda a Raqqa.
La battaglia per la seconda capitale del Califfato, e quella per la definitiva sconfitta dello Stato Islamico, sono solo due tappe verso la parte più complessa e decisiva dello scontro in atto. Uno scontro in cui sono in gioco da una parte le ambizioni della Russia e dei suoi alleati, primo fra tutti l'Iran, e dall'altra quelle degli Stati Uniti, dell'Arabia Saudita e di Israele. Ma a tener le redini del gioco sono innanzitutto Mosca e Washington. E l'annuncio delle ultime ore secondo cui Trump ha sospeso gli aiuti Cia ai ribelli siriani non cambia la situazione. La presenza di Usa e Russia nel contesto geopolitico siriano rende comunque inevitabile lo scontro. Per capirlo distogliamo lo sguardo da Raqqa e scendiamo verso Sud Est lungo due direttrici che conducono al confine iracheno. La prima ci porta prima a Deir Ez Zor e poi a Al Bukamal, la cittadina di frontiera distante 270 chilometri da Raqqa. La seconda direttrice, spostata oltre quattrocento chilometri in direzione Sud Est, ci porta vicino a quella zona di At Tanf dove convergono i confini giordano e iracheno e dove le forze speciali americane addestravano i ribelli anti Bashar in una base situata lungo la vecchia autostrada Damasco-Baghdad. Il primo quadrante diventerà strategico dopo la caduta di Raqqa quando Russia e Stati Uniti incominceranno a contendersi il merito per la liberazione degli ultimi santuari dello Stato Islamico. Il quadrante di At Tanf invece è già attivo da qualche mese. Lì il 19 maggio scorso gli aerei americani hanno colpito una colonna dell'esercito siriano appoggiata da iraniani e milizie sciite che avanzava verso la base di At Tanf. Una mossa a cui iraniani e forze governative siriane appoggiate dall'aviazione russa hanno replicato deviando a Nord, chiudendo in una sacca la base Usa, e raggiungendo quella frontiera irachena dove, sul versante opposto erano già schierate le Unità di Mobilitazione Popolare, le milizie sciite irachene legate al governo di Baghdad. A quel punto la Russia ha potuto annunciare il primo vero scacco alla presenza Usa in Siria. D'ora in poi - infatti - le neo addestrate truppe ribelli e le forze speciali Usa avranno serie difficoltà a risalire verso Deir Ez Zor ed Al Bukamal dove la battaglia finale con l'Isis aprirà i giochi per il controllo di un altro valico essenziale per gli spostamenti da e verso Baghdad. E dove, visti i pessimi rapporti con le tribù locali, gli americani non potranno utilizzare le milizie curde impiegate a Raqqa. A quel punto agli Stati Uniti e ai loro alleati sauditi resterebbero poche carte da giocare. L'Iran diventerebbe il vero signore di un asse sciita su cui muovere armi, merci e uomini da Baghdad fino al confine con Israele. E la Russia, in buoni rapporti non solo con Damasco e Teheran, ma anche con Israele, si trasformerebbe nel grande mediatore di tutti gli equilibri regionali.
La Libia, dove recentemente Trump ha deciso di tornare a giocare politicamente e militarmente, è un altro ring su cui lo scontro russo americano si preannuncia assai duro. Grazie all'appoggio fornito al generale libico Haftar e al governo di Tobruk la Russia ha definitivamente strappato all'America i favori dell'Egitto e del suo presidente Al Sisi. E così anche qui all'America che, ai tempi di Obama, puntò tutto - d'intesa con l'Europa e l'Italia - sull'inetto premier di Tripoli Fayez Al Serraj - restano assai poche carte da giocare. Può impegnarsi in una difficile partita per strappare Haftar alla Russia o trovare, impresa non facile, un altro uomo forte da contrapporgli. La tensione nel frattempo sale anche in Europa. Qui la crisi di Ucraina e Crimea, i timori russofobi di alcune nazioni dell'Europa dell'Est e dei Paesi Baltici hanno generato un clima che non ha precedenti dalla caduta dell'Unione Sovietica a oggi. Le manovre Nato Saber Guardian 17, svoltesi in Ungheria, Romania e Bulgaria dal 10 al 20 luglio con la partecipazione di oltre 25mila truppe del Patto Atlantico, ipotizzavano esplicitamente la penetrazione in Europa orientale di reparti russi. Reparti affrontati su tutti gli scenari da quello terrestre a quello della guerra cibernetica.
Nel Pacifico, dove gli Stati Uniti di Trump, hanno promesso di ridurre a più miti consigli il dittatore coreano Kim Jong Un i rapporti con la Russia non sembrano migliori. Mosca, per tutta risposta al clima di tensione mantenuto dagli Stati Uniti su tutti i fronti aperti si guarda bene dal dare una mano. Il mezzo passo indietro di Pechino che, dopo le pressioni di Donald Trump, ha in parte ridimensionato i rapporti commerciali con Pyongyang è stato subito sfruttato da una Russia prontissima a proporsi come nuovo partner del regime nord coreano.
E così dopo aver rimpiazzato Pechino nelle forniture di carburante per gli aerei a reazione Mosca ha firmato, di seguito, una serie di accordi con Pyongyang per garantire l'immigrazione temporanea in Russia di lavoratori nord coreani e l'apertura di una linea marittima con Vladivostok per il trasporto di merci e uomini da e verso la nazione più isolata dell'Asia. Un modo come un altro per far capire a Washington che qualsiasi futuro tentativo di risolvere le grandi crisi internazionali o passerà anche per Mosca o ben difficilmente arriverà al capolinea.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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