Roma ai piedi di Tosca e Scarpia

Sarà l’eroina più famosa della lirica italiana ad aprire martedì prossimo la stagione estiva del Tetro dell’Opera. La Tosca di Puccini torna alle Terme di Caracalla, la cui prima stagione, nel lontano 1937, fu inaugurata proprio dalla celebre opera pucciniana. Con l’orchestra e il coro dell’ente lirico capitolino, preparato da Andrea Giorgi, una compagnia di voci dal grande richiamo, nella quale spiccano i tre interpreti principali: il soprano Micaela Carosi (Tosca), il tenore Fabio Armiliato (Mario Cavaradossi, il medesimo ruolo con cui esordì nel 1989 sempre a Caracalla) e il basso Giorgio Surian (Scarpia). Sul podio il maestro concertatore e direttore Paolo Olmi.
Il tragico triangolo tra la sensuale e devota cantante, il pittore patriota e il barone capo della polizia pontificia, ambientato a Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo, si sviluppa in un allestimento firmato dal regista Franco Ripa di Meana. L’opera in tre atti - che debuttò il 14 gennaio 1900 al teatro Costanzi - si svolge sullo sfondo della restaurazione borbonica dopo l’effimera repubblica romana. Il libretto scritto da Giuseppe Giacosa e Luigi Illica si ispira al dramma di Victorien Sardou. Ne parliamo con il regista.
Partiamo subito dal finale, che fa uscire quest’allestimento dalla «tradizione».
«Tosca non muore suicida gettandosi dagli spalti di Castel Sant’Angelo, dove è stato appena fucilato Cavaradossi, ma annega assieme a lui nel Tevere, testimone del loro amore e della storia di Roma ai tempi del potere temporale dei papi».
Cosa c’è dietro questa scelta?
«Intanto la difficoltà di costruire una scenografia tradizionale in un luogo come Caracalla. E poi ci sono anche i nuovi studi sull’opera di Puccini. Di recente sono venute alla luce delle lettere dello stesso musicista nelle quali la follia d’amore di Tosca non ha come gesto conclusivo il suicidio da Castel Sant’Angelo. Mi è sembrato utile recuperare quella visione proprio nella cornice “angusta” delle Terme».
Si esce giocoforza dalla lettura di maniera della «Tosca».
«Per me è assolutamente necessario un dialogo con la cornice che ci ospita. Lo stornello romanesco o la precisione toponomastica in questo caso non servono. Che si tratti della Città Eterna lo si deve evincere da altre cose, da altri dettagli».
Di che tipo?
«A me serve sottolineare il potere temporale della Chiesa. Deve subito risaltare il fatto che si tratta della città del Papa Re. In fin dei conti, la cornice storica è importante (siamo nella Roma dove è appena fallito l’esperimento della Repubblica Romana, ndr), perché mi permette di mettere a fuoco tutti i dettagli di un personaggio come Scarpia. In fondo la cifra di quest’allestimento è proprio nel confronto tra due diversi tipi di religiosità».
La passionale Tosca e uno Scarpia calcolatore...
«Ho scelto di far vestire ad Armigliato (Scarpia) l’abito talare per esaltarne l’uso improprio che ne fa un personaggio dalla religiosità deviata. Un personaggio che è legato alla gerarchia ecclesiastica ma che diventa in questo caso una figura diabolica. Il suo abito talare dovrebbe portare solidarietà e misericordia, invece finisce per essere simbolo di potere e avidità».
Parliamo della scenografia. Le quinte vengono sostituite da una grande mappa della città sopra la quale si muovono i protagonisti.
«Ho pensato fosse il modo migliore per esaltare le doti dei cantanti. Il problema maggiore era fare in modo che la spettacolarità della cornice non annullasse i valori teatrali degli interpreti. D’altronde una scenografia essenziale non mi impedisce di esaltare il percorso narrativo della vicenda».


La scenografia è firmata da Edoardo Sanchi mentre i costumi (che riportano ad atmosfere di primo Novecento) sono stati creati da Silvia Aymonino. L’opera verrà replicata, sempre alle nove di sera, mercoledì 15, giovedì 16, venerdì 17, martedì 21, mercoledì 22, giovedì 30 luglio, martedì 4 e giovedì 6 agosto.

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