Roma col fiato sospeso: alle 9.30 torna il passato

Lo striscione «Tsunami: Scienze politiche occupata», alla Sapienza di Roma è stato preso sul serio almeno dal tempo, visto che giace sopra l’atrio, zuppo e appesantito da una pioggia tropicale. Dentro, in una sala fumosa, il «Laboratorio di mobilitazione permanente» cerca di trovar parole, slogan, linee di condotta per la manifestazione che partirà tra poche ore a poche centinaia di metri, ore 9.30 tutti in corteo. Due studentesse litigano sui piatti mangiati a mensa, un altro affabula il compagno di panchina con teorie sul «capitalismo assoluto», gli chiedi perché non sta in assemblea e Luca ti comunica che quelli del suo collettivo hanno già deciso che fare. Per il resto, nei corridoi abbozzolati a rifugio dall’uragano che scuote la capitale, è un giorno di ordinaria occupazione. Un gruppetto indaffaratissimo arrotola cartoni per ospitare chi arriverà in serata. Ci sono i dazebao che lodano compiaciuti la «marea post televisiva» degli studenti, molto YouTube (alle repliche sul maxischermo ci pensano compiaciuti anchorman), quelli che spiegano perché l’Onda «è antifascista», gli articoli appiccicati sul muro dove la Gelmini appare con baffetti hitleriani e si spiegano le nuove «prove tecniche di terrore» della polizia.
Ma il Movimento, quello rigorosamente con la M maiuscola, non si piega e non si spezza. Che non si pieghi, può darsi. Ma si è spezzato già da qualche giorno. Da quando ha perso la sua vocazione originaria di fenomeno politicamente trasversale dove in corteo si urlava «né rossi né neri / siamo tutti quanti studenti». Era quella forma di protesta tutto sommato goliardica e contenuta nei toni che aveva riscosso più di qualche simpatia anche nel centrodestra. Paradossalmente, nelle scorse settimane si era scordato che i movimenti studenteschi di destra e centrodestra (non solo le sigle più intransigenti) avevano ottenuto alle ultime elezioni la maggioranza dei seggi negli organi rappresentativi delle scuole superiori e delle università. La linea dell’intransigenza tout court stava creando anche a loro non pochi imbarazzi. E così più di qualcuno, rifiutando la contrapposizione un poco macchiettistica tra gli scapestrati che manifestato e i bravi ragazzi che vogliono studiare, aveva condiviso le perplessità verso una riforma che, fino al decreto varato dalla Gelmini una settimana fa, appariva troppo severa e punitiva verso l’università nel suo complesso. Si erano tracciati paragoni col Sessantotto, con la Pantera, o profili più inediti di una generazione davvero post-ideologica che voleva lottare contro i fantasmi della precarietà e il dramma di una società bloccata dalla gerontocrazia. Si era affacciata persino la possibilità di condurre una lotta di massa a favore del merito, e sarebbe stata una vera innovazione nel bagaglio consueto delle proteste studentesche.
Oggi, nei cortei romani, di quella vocazione originaria non c’è quasi più traccia. C’è un destino crudele nelle mobilitazioni studentesche: partono sempre aperte e trasversali, e finiscono settarie e ideologizzate. E infatti oggi è altro, ciò che si muove dietro gli striscioni «non pagheremo la vostra crisi» e «no 133». La radicalizzazione dello scontro, che ha prodotto gli incidenti di piazza Navona, l’occupazione dei binari, i tafferugli alle stazioni, la saldatura con la protesta No Tav e No Dal Molin, l’atmosfera da Settantasette bolognese che fa inumidire gli occhi a qualche antico contestatore, l’elezione - tanto per dire - di Dario Fo, Marco Travaglio o Moni Ovadia a padrini del movimentismo: eventi che hanno volutamente tagliato fuori una parte consistente degli studenti, estranei all’antico birignao antifascista.
I provvedimenti contenuti nel decreto Gelmini hanno fatto il resto. Hanno sparigliato le carte, dividendo con chiarezza chi si vuole accomodare al tavolo del riformismo, come la Cisl, l’Ugl, i rettori delle università virtuose e alcune sigle studentesche, e chi ha imbracciato le armi della pura lotta ideologica contro il governo. Le nuove regole sui concorsi hanno raccolto una valanga di consensi. L’alleggerimento del blocco del turnover ha placato le proteste dei ricercatori. La decisione di dare più risorse agli atenei migliori e punire gli sfasciabilanci ha spaccato il fronte dei rettori. E l’incremento delle borse di studio e dei posti letto per gli studenti ha intercettato un’esigenza reale e drammatica.
La manifestazione di oggi andrà come andrà, tra il «circondiamo Montecitorio» e «occupiamo viale Trastevere», appresso al solito balletto delle cifre.

E c’è da chiedersi cosa succederebbe se il ministro Gelmini lanciasse agli studenti la proposta di un’alleanza per la «rivoluzione del merito» e la lotta ai baroni universitari. Chissà. Intanto, con la pioggia che si abbatte inesausta su Roma, l’Onda rischia di affogare.

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