Ci sono libri che sembrano scritti apposta per i giovani che non fanno notizia. Quelli che non tirano estintori nelle manifestazioni di piazza; che non assediano i cantieri della Tav; che non salgono sulla Torre di Pisa per appendere striscioni contro le riforme dellistruzione; che non intervengono da Santoro per pontificare sul precariato. Quelli che, alla fine dei conti, sono la maggioranza ma di cui non si parla molto perché non ci tengono a farsi notare. Cose che nessuno sa (Mondadori, pagg. 334, euro 19), il secondo romanzo di Alessandro DAvenia, insegnante al liceo già in classifica col precedente Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori, 2010, 400mila copie), è un volume di questo tipo. DAvenia dimostra di essere in possesso di uno sguardo ben allenato sulla società che ci circonda (curatissimi i dettagli: volendo si potrebbe tirare fuori da Cose che nessuno sa una playlist dei gusti dei teenager). Il suo pubblico, a prima vista, sembra simile a quello di Fabio Volo, appena un po più giovane. In fondo, anche le storie dello scrittore bresciano, al netto di un po cinismo innocuo e di impegno di maniera, puntano a ristabilire lordine: alla fine trionfano i sentimenti e i valori. Quelli tradizionali, come nel recentissimo bestseller Le prime luci del mattino (Mondadori). Se Volo guarda ai dubbi dei trenta-quarantenni, DAvenia va benissimo per liceali e studenti universitari ma ha le potenzialità per prendere al laccio anche i genitori del suo lettore medio: chi non vuole conoscere luniverso dei propri figli?
Già il personaggio centrale, anche se non protagonista assoluto, di Cose che nessuno sa segnala la distanza siderale tra il mondo giovanile di questo romanzo e quello che siamo abituati a vedere rappresentato dai media (e anche dalla letteratura piagnona che va per la maggiore sui giornali). Qui il professore di liceo intorno a cui ruota la vicenda è un supplente da 500 euro al mese, precario (un anno su una cattedra, il seguente non è detto) ma soddisfatto, sistemato in un appartamento di pochi metri quadrati, senza un vero letto ma con molti libri. Macchina neanche a parlarne, ha voluto la bicicletta, in tutti i sensi, e ora pedala con convinzione, perché stare in classe e confrontarsi con gli alunni è la sua vita. Le lamentele stanno a zero, il desiderio di comunicare a mille.
DAvenia prende di petto il tema della paternità. Nel romanzo ci sono ragazzine abbandonate dal padre. Ragazzini che nemmeno lhanno mai conosciuto. Giovani che non vogliono diventare padri, per timore di non poter più essere figli. Il padre ci aiuta a definire la nostra identità, fino a quando non dovremo abbandonarlo per prendere la nostra strada in piena autonomia. Naturalmente il lieto fine è dietro langolo, zuccheroso ma non troppo. Ciascuno si assumerà le proprie responsabilità, anche il ribelle in rivolta contro il mondo (e contro se stesso). Allinterno di questo universo, la famiglia, si capisce benissimo, resta un caposaldo. È listituzione delle istituzioni, anche quando traballa, perfino quando è assente. Così come fondamentale è un senso religioso, che affiora qua e là, sempre espresso con grandissima delicatezza, cosa tuttaltro che facile. E infine cè la libertà, a cui tutti aneliamo. Una libertà un po più complessa del lancio di un estintore per «fottere il potere» o del vedere realizzati al più presto tutti i propri desideri o del fare tutto quello che si vuole quando si vuole.
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