Rostropovich dipinge «Leningrado»

Alberto Cantù

da Parma

Ci sono ricorrenze pretestuose come il duecentocinquantesimo di Mozart e centenari «utili»: ad esempio quello della nascita di Dmitri Shostakovich, che cade quest’anno.
D’accordo. Shostakovich fa fino, fa cultura. Un po’ di snobismo, però, a volte giova. Nel nostro caso ha per oggetto il maggiore e più prolifico sinfonista del Novecento (15 titoli in quasi mezzo secolo: fino alla morte nel 1975), un drammaturgo di razza ai cui lavori la storia ha tolto i bastoni fra le ruote che Stalin pose loro. Anche il camerista cui dobbiamo tanti Quartetti quante sono le Sinfonie; brani che sono il diario intimo del compositore.
A Shostakovich la Scala riserva (ultima replica oggi) un concerto di Jurowski con rari frammenti da Il giocatore e il paradigma della Quinta sinfonia. Sull’ex allievo di Glazounov, il quale ebbe per maestro Rimskij-Korsakov, «Parma capitale della musica» ha costruito un «Progetto» a lungo termine che ebbe un anticipo importante lo scorso novembre (Quinta sinfonia con Riccardo Muti e l’Orchestra giovanile «Cherubini») e s’addensa ora con appuntamenti sinfonici e da camera più una giornata di studi: il 24 febbraio, nella Casa della musica.
Parma fra tradizione e rinnovamento. Una mostra su Renata Tebaldi nel Ridotto del Teatro Regio (chiude il 31) e una serata - quella di lunedì al Regio - che ricordava i 49 anni dalla morte di Arturo Toscanini, appunto il 16 gennaio 1957.
La serata di cui riferiamo, momento clou del progetto shostakoviano, ha visto la proposta di un gigantesco affresco di guerra: la Settima sinfonia in do maggiore Leningrado. E il parmense Toscanini s’incontra davvero col leningradese Shostakovich quando si ricordi che fu il maestro d’Oltretorrente artefice del successo internazionale di questo lavoro scritto durante l’assedio nazista della città nel 1941. Come nelle spy-stories, venne spedito un microfilm della partitura negli Stati Uniti e Toscanini battezzò la partitura a New York con la «sua» orchestra - della Nbc - mettendola in repertorio accanto alla Prima sinfonia.
Per il suo alto magistero sinfonico e la valenza etica, la Leningrado è prediletta, a concerto e su disco, anche da Mstislav Rostropovich che ieri l’altro l’ha diretta a capo della Filarmonica Arturo Toscanini, salvo errori al suo primo e comunque ancora un po’ acerbo cimento con l’ardua partitura. Un Rostropovich che «dipinge» l’affresco sonoro con pennellate larghe, dense e drammatiche, tanto che da 70 minuti il brano si avvicina ai tempi d’una partita di calcio.

Un’orchestra alla ricerca della febbre percussiva, delle deflagrazioni, del Requiem-lamento oltre ai rimandi a Mahler nello Scherzo e nell’Adagio. Grande successo, applausi tonanti, Rostropovich che premia il lavoro della «Toscanini» facendo alzare, per i mirallegro, anzittutto il gruppo supplementare di ottoni, poi solisti, gruppetti, file eccetera.

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