Politica

Ruffini, il lottizzato «slottizzato» che dimentica da dove è venuto

di Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi*

«Ho vinto contro una rimozione politica», dichiara trionfante Paolo Ruffini a Repubblica, neanche fosse un operaio iscritto alla Fiom nella Fiat di Valletta. Ma come ci era arrivato, Ruffini, alla direzione di Raitre? Ha vinto un concorso? È stato strappato alla concorrenza a suon di milioni? Oppure è stato nominato per chiara fama? No, Ruffini è diventato direttore di Raitre per una promozione politica - come tutti, del resto, incluso il suo successore.
Nella primavera del ’96, quando il centrosinistra vince le elezioni, Ruffini, dopo una brillante carriera come notista politico, è da poco vicedirettore del Messaggero di Giulio Anselmi. Il centrosinistra procede, secondo copione, alle nomine in Rai: Enzo Siciliano presidente, Franco Iseppi direttore generale, Giovanni Tantillo a Raiuno, Carlo Freccero a Raidue, Giovanni Minoli a Raitre, Rodolfo Brancoli al Tg1, Lucia Annunziata al Tg3, Marcello Sorgi al Giornale radio (un’occupazione in piena regola, che lascia all’opposizione soltanto il Tg2 di Clemente Mimun).
In autunno, però, Brancoli a sorpresa si dimette e Sorgi viene promosso al Tg1. Bisogna trovare un direttore al Giornale radio. Ruffini sembra il candidato perfetto: figlio di un ex ministro dc e nipote dell’ex cardinale di Palermo, politicamente vicino al Pds e all’ex sinistra democristiana, la sua nomina suggella - con una lieve sfumatura antiprodiana - una linea d’intesa fra Massimo D’Alema (segretario del Pds) e l’allora presidente del Senato Nicola Mancino.
Passano gli anni, e nel 2001 al governo ci va il centrodestra. L’anno successivo arrivano le nuove nomine: Agostino Saccà diventa direttore generale, e cambiano i vari direttori di rete e testata. Raitre, secondo tradizione, spetta al centrosinistra. Saccà e Berlusconi si consultano, e il nome di Ruffini li trova presto d’accordo: il direttore del Giornale radio, infatti, è nipote di Enrico La Loggia, divenuto da poco ministro per gli Affari regionali del secondo governo Berlusconi, dopo aver presieduto per cinque anni il gruppo di Forza Italia al Senato.
C’è dunque qualcosa di stravagante, e persino di fastidioso, nella petulanza con cui l’ex direttore di Raitre pretende il reintegro. Poiché la sua nomina è stata di carattere politico, è evidente che anche la sua rimozione ha avuto quel carattere. O forse in Rai si scelgono i direttori sulla base delle competenze?
Che non sia affatto così, lo dimostra proprio il curriculum di Ruffini, il quale, prima di essere nominato (dalla politica) direttore di una rete televisiva, non si era mai in vita sua neppure per un giorno occupato di televisione.
Ruffini è stato slottizzato dopo esser stato lottizzato: non c’è niente di tragico, né di grave, e neppure di serio in questa come in tante altre vicende del «servizio pubblico». È l’Italia, e la conosciamo tutti troppo bene.
*da www.

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