«Ma lo sa o no che prima di scrivere L’astice al veleno ho dovuto farmi una cultura su questi enormi crostacei che nel Mediterraneo, e soprattutto da Napoli in giù, possono raggiungere persino sei chilogrammi di peso?», dice divertito Vincenzo Salemme a proposito della sua nuova commedia con musiche che (in scena al Manzoni di Milano fino al 17 aprile) ha finora totalizzato la bellezza di un centinaio di repliche ed è stata freneticamente applaudita da oltre novantamila spettatori. Come mai?, gli chiedo di rimando. Non mi dirà che nella sua pièce l’astice in questione da semplice metafora del reale si muta addirittura in un personaggio. «Ohibò, questo poi no!», confida divertito l’attore-commediografo-regista noto e apprezzato per quella sfrenata comicità in bilico tra il culto stralunato della farsa che apprese dalla viva voce di Eduardo e l’accelerazione motoria della mimica e del gesto apprese alla scuola di Tato Russo. «L’astice in questione, con le sue esagerate dimensioni e la sua disperata volontà di evitare ad ogni costo il rischio di finire in padella, è il simbolo dell’amore tra Barbara, la protagonista che vedrete nell’interpretazione di Benedetta Valanzano, e il pony- express Gustavo, ovvero me stesso in costume da Babbo Natale».
Ma da quando in qua un crostaceo diventa un dono d’amore?
«Da quando alle ragazze non si offrono più né cioccolatini né mazzi di fiori! Scherzo, naturalmente. Ma per tornare a noi, le dirò che Barbara, tormentata ad usura da un regista (sulla scena Maurizio Aiello) che per lei non si decide a lasciare la sua legittima consorte, decide di sacrificare il suo bene più prezioso - ossia l’astice in questione - per avvelenare l’uomo che l’ha sedotta».
Siamo a un passo dall’horror! Non ha paura, così facendo, di tradire le legittime aspettative del suo pubblico?
«E perché mai? Si è scordato che la farsa da sempre estremizza la tragedia per sfociare nella risata liberatoria? Qui addirittura assicurata da quattro candide statue di marmo cui Benedetta dà vita: un poeta sbucato dal Regno delle Due Sicilie a promuovere la rivoluzione permanente, uno Scugnizzo di bronzo che si libera della scultura che lo imprigiona, un munaciello, ovvero il fantasma malizioso della tradizione partenopea, e una lavandaia del sedicesimo secolo che fa le scarpe a tutti prima di svanire».
Mi ha convinto ma.... E il cinema? Si è dimenticato di Bruno Garramone, il suo personaggio - feticcio, figlio di un ferocissimo boss, che in Amore a prima vista dopo un trapianto di cornea cambia carattere mutandosi nel più angelico dei benefattori? Eppure, sullo schermo, è stato un grande successo.
«Se aspetta fiducioso l’uscita di Baciato dalla fortuna (uscita prevista in autunno - ndr), il film diretto da Paolo Costella ma scritto da me, dove sono un vigile urbano travolto da una cocente passione per la cuoca Asia Argento che lo seduce abbrustolendo salsicce, capirà ad oltranza che il cinema è sempre nel mio cuore».
Come mai, come regista, ha passato la mano?
«Per aver più spazio come interprete».
O per sopraffare la concorrenza del capo dei vigili Alessandro Gassman?
«Ma se l’ho scelto io! Dopo che Alessandro, visto Fiore di ictus, il mio atto unico da cui ho tratto il film, aveva espresso il desiderio di lavorare insieme».
E il nuovo film di Giovanni Albanese Senza arte né parte?
«Ah, quella è un’altra cosa! Lì sono un fornaio in cassa integrazione costretto dal caso a improvvisarsi scultore d’arte moderna dato che scambia la dorata forma della pagnotta per una bella schiena di donna».
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