Cronaca locale

Il San Raffaele va a Rotelli La mossa che incorona l’uomo nuovo della finanza

Il gruppo San Donato s'aggiudica l'ospedale. Zangrillo: "L'università? Ora sarà ancora più forte" Il capitalismo dei servizi prende il posto di quello delle banche. E il Corriere passerà da Geronzi-Bazoli, a Rotelli-Della Valle. IL PERSONAGGIO: Quel sovrano delle cliniche con la passione dei giornali

Il San Raffaele va a Rotelli La mossa che incorona  l’uomo nuovo della finanza

Il San Raffaele non è solo il 19esimo nosocomio che finisce sotto il controllo del gruppo ospedaliero San Donato di Giuseppe Rotelli. L’acquisizione del gruppo sanitario fondato da Luigi Don Verzé nel 1969 - apprezzato tanto come istituto di ricerca quanto come clinica ospedaliera e reso celebre per la stima di Silvio Berlusconi - è un segnale di cambiamento sia per l’economia nazionale, sia per la grande finanza.
Giuseppe Rotelli è accreditato, a torto o a ragione, di una vicinanza con il l’ala conservatrice emergente del centro-destra del capitalismo nazionale. In questa chiave la sua presenza nell’azionariato del Corriere della Sera, dove prevalgono le spinte cattolico democratiche di Gianni Bazoli, presidente di Intesa, in tandem dialettico con l’eredità della laica Mediobanca di Enrico Cuccia, è vissuta come un’intrusione. Così, nonostante Rotelli abbia investito ben 300 milioni per avere il 7,5% della Rcs - che tra opzioni (3,6% con il Banco Popolare) e diritti di voto fiduciari (su un altro 3,5% di Ubs) può valere fino al 14,6% facendone il primo azionista - è stato finora tenuto fuori dalla cabina di comando. Fuori cioè dal patto di sindacato dominato da Mediobanca, Fiat, Intesa, Generali ed altri, che, con oltre il 63% del capitale di Rcs, rende inutile ogni altra partecipazione. Caso più unico che raro nel capitalismo mondiale.
Ebbene, ieri il Rotelli ha dato una prova di forza che lascerà traccia: 725 milioni di impegno reale, messi sul piatto per salvare uno dei gioielli della sanità nazionale, tra gli applausi del Tribunale di Milano, della Regione Lombardia e di Formigoni in particolare. Il tutto mentre la crisi dei debiti europei, attraverso i mercati, ha già sancito la fine del potere bancario come camera di compensazione obbligatoria per gli equilibri del potere. Lo simboleggia il quasi azzeramento della capitalizzazione di Unicredit (-94% dal 2007), primo azionista della filiera Mediobanca-Generali; e in generale di tutte le banche (Intesa, la migliore, è a -80%). Per non parlare della Fiat di Marchionne, ormai sganciata dalle logiche politiche e proiettato verso Detroit. In questo quadro - e di fronte al quasi parallelo declino da un lato di Salvatore Ligresti, l’imprenditore di matrice craxiana prima, berlusconiana poi, che aveva avuto accesso al salotto buono, dall’altro di Cesare Geronzi, banchiere che negli ultimi 10 anni incarnava più di chiunque altro i legittimi interessi finanziari legati ad ambienti di centro-destra - l’emergere di Rotelli sembra quasi avvenire con calcolato tempismo. In realtà c’è dietro uno spessore nuovo e molto forte.
Primo: a imporsi sul capitalismo dei salotti e delle banche è quello delle imprese dei servizi, ricco e profittevole, sostenuto da intere fette di pubblico (gli enti locali virtuosi). Non a caso per il San Raffaele gareggiavano anche i Rocca e i Malacalza, nuovi soci di Tronchetti nella filiera Camfin Pirelli. Secondo: sono gli imprenditori che ci mettono i soldi a chiedere di avere in mano il pallino che i banchieri, fino a oggi, hanno gestito con i quattrini degli altri. Vale per Rotelli, stufo di vedere ridotto il suo investimento da 300 a 60 milioni senza poter gestire Rcs da impresa editoriale; e vale per Diego Della Valle, il patron della Tod’s che nella stessa Rcs ne ha messi un centinaio per avere il 5,4% e che da mesi chiede di salire per contare di più e finalmente per rilanciare un gruppo in crisi.
Ecco: l’imprenditore della sanità, di cui la politica e le banche hanno avuto bisogno; e quello delle scarpe, che vive e vegeta nei marosi della concorrenza. Rotelli e Della Valle.

E tutti i loro simili: è questa la moderna diarchia che ha cominciato, da ieri, a prendere il posto della vecchia, Geronzi-Bazoli.

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