da Roma
La sanità potrebbe essere definita il vero grande malato della finanza pubblica italiana. Si tratta, infatti, di un settore che spende quasi sempre male le ingenti risorse che gli sono destinate e concorre ad aumentare progressivamente il deficit delle pubbliche amministrazioni. La situazione non assume i toni della tragedia solo perché, in valore assoluto, la spesa sanitaria rappresenta meno della metà di quella per l’erogazione delle pensioni, altra nota dolente per le casse dello Stato.
I numeri. Nel 2007 la spesa sanitaria nazionale è ammontata a 102,519 miliardi di euro superando «quota 100». Nel 2006 si era, infatti, attestata sul valore di 99,648 miliardi. Le spese per il personale hanno rappresentato il 33% del totale, quindi quasi 34 miliardi sono stati spesi in stipendi per manager, medici e infermieri. L’aumento di spesa è stato moderato (+1% annuo), ma ai prossimi rinnovi contrattuali il discorso cambierà. Quasi 30 miliardi (+10% annuo) sono stati destinati all’acquisto di beni e servizi: l’acquisto diretto dei farmaci da parte delle Asl (incentivato per limitare il ricorso alle farmacie convenzionate) ha inciso sul capitolo. Medicina generale e farmaceutica convenzionata hanno assorbito un altro 17% di risorse.
Il disavanzo. Nel 2007 Irap, addizionali Irpef, Iva e accise non sono state sufficienti a finanziare tutte le spese. Stato e Regioni ci hanno rimesso 3,169 miliardi di euro. Il deficit, pur in calo rispetto ai 4,5 miliardi del 2006, ha rappresentato lo 0,2% del pil. Tra 2001 e 2005 la pubblica amministrazione ha perso 22 miliardi di euro nel capitolo sanità che, sommati ai 7,7 miliardi del biennio appena concluso, si traducono in un rosso di 30 miliardi. L’anno scorso solo otto Regioni sono riuscite a chiudere in attivo questo capitolo: tra le virtuose Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana.
I «buchi». Le Regioni che si trovano a fronteggiare casi di vera e propria emergenza sono essenzialmente tre: il Lazio, la Campania e la Sicilia, In particolare, l’ente attualmente guidato da Piero Marrazzo nel periodo 2004-2007 ha perso nella sanità circa 7,5 miliardi di euro. Il collega Bassolino deve tamponare un disavanzo complessivo nel quadriennio di 4,5 miliardi, mentre il neogovernatore Lombardo si trova alle prese con un rebus da 3 miliardi. Preoccupanti anche l’Abruzzo di Del Turco, il Molise, la Calabria e la Liguria.
La qualità della spesa. Solo le Regioni meridionali (Molise escluso) spendono meno di 1.700 euro per abitante, ben cinque destinano oltre 1.900 euro e tra queste le criticissime Lazio e Molise. L’ente guidato da Piero Marrazzo ha devoluto alle strutture convenzionate 4,7 miliardi su un budget di 10,8 miliardi. È la cifra più elevata dopo la Lombardia (7 miliardi) ma i risultati sono decisamente peggiori. Consistenti flussi diretti verso l’esterno del sistema pubblico si ritrovano anche in Campania (3,8 miliardi) e Sicilia (3,3 miliardi). Non è un caso che le Regioni meno virtuose siano quelle con più posti letto privati: il Lazio nel 2004 ne contava 15,89 per 10mila abitanti, la Calabria 14,15 e la Campania 10,49 a fronte di una media nazionale Istat di 8,07. Secondo i dati di Kpmg, le degenze riabilitative ogni mille abitanti nel Lazio durano 247 giorni l’anno, 123 giorni in più della media italiana.
La copertura. Ripianare il buco sanitario richiederebbe l’abilità di Mandrake. Una legge costituzionale del 2001 proibisce alle Regioni di accendere mutui per ripianare il disavanzo, ma consente loro di aumentare le imposte. Il governo Prodi ha avallato inasprimenti dell’Irap per gli enti meno virtuosi ribaltando sulle imprese il costo dei disservizi. Con la Finanziaria 2008, inoltre, sono stati accesi finanziamenti da 9,1 miliardi per Lazio, Campania, Molise e Sicilia al fine di favorire il rientro del debito entro il 2010. Nemmeno lo spettro del commissariamento sembra funzionare.
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