da Roma
Finalmente un prete-prete. E cioè non un prete-sindacalista, o no-global, o rivoluzionario, o barricadiero. Ma un prete-uomo di Dio: «Uno, cioè, che si dedica agli altri nel Suo nome». Sembrerà scontato; ma non sempre, quando la tv (o il cinema) si occupano di religiosi, sanno resistere alla tentazione politicamente corretta di valorizzarne soprattutto l'opera sociale, a discapito invece delle motivazioni spirituali. «E ignorando così che quella deriva da queste. Raccontare don Luigi Di Liegro tralasciando la sua fede, ad esempio, avrebbe significato darne un ritratto monco - conferma il regista Alessandro Di Robilant -. Perché tutto ciò che don Di Liegro fece di umanitario (ed è stato qualcosa di enorme) è nato esclusivamente da questo: la sua fede nel Vangelo».
Per i molti che l'hanno conosciuto sul campo, per gli innumerevoli che lo ricordano con nostalgia, L'uomo della carità - la fiction in onda stasera e domani in prima serata su Canale 5 - sarà un'occasione per riflettere proprio sulla natura religiosa della straordinaria opera sociale del fondatore della Caritas. «Don Luigi aveva questo, di unico: sapeva mettere le sue capacità incredibilmente concrete al servizio di un'idea tutta spirituale - aggiunge lo sceneggiatore, Fabrizio Bettelli -. Fu il primo a intuire per esempio, la necessità di ospitare i primi ammalati di Aids; di accogliere i primi immigrati stranieri; di costruire, con la Caritas, una capillare rete di solidarietà nazionale. Ma sempre partendo dal vangelo. Unendo alla perfezione, insomma, le opere allo spirito».
Basato su fatti reali, raccolti tra collaboratori e amici del sacerdote scomparso giusto dieci anni fa, e interpretato da Giulio Scarpati (autore di un'ammirevole trasformazione fisica e psicologica) L'uomo della carità ripercorre l'appassionante avventura di questo prete-prete: minatore accanto ai lavoratori italiani in Belgio, parroco di borgata fra i baraccati della cittadina di Giano; creatore dell'ostello per i barboni di via Marsala a Roma, nonostante lo scetticismo delle istituzioni capitoline, e della casa-famiglia per malati di Aids a Villa Glori, nonostante l'ostilità dei residenti del quartiere romano dei Parioli. Fino all'epica battaglia della Pantanella, fabbrica dismessa popolata di diseredati che lo chiamavano tutti per nome. «Ma soprattutto convinto - osserva il regista - che non si può amare senza sporcarsi le mani. Senza condividere la vita di chi soffre».
«So che può apparire banale, ma interpretare quello che è stato definito un missionario in terra cattolica, un evangelizzatore dei già evangelizzati mi ha molto arricchito - confessa Scarpati (preparatosi al ruolo attraverso interviste, libri e video) -.
Scarpati: «Di Liegro era un grande un missionario in terra cattolica»
La fiction «Luomo della carità» rievoca la vita del fondatore della Caritas
Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.