La sfida si consuma davanti all’ingresso della cattedrale di Notre Dame, simbolo della cristianità. Da una parte un folto gruppo di donne islamiche velate, dall’altra la polizia, che ne ferma circa una ventina per manifestazione non autorizzata. È la fotografia di un Paese spaccato, diviso fra la politica dell’accoglienza e la voglia di difendere i valori fondanti della Repubblica, la libertà religiosa ma anche la dignità della donna.
In realtà ieri è andato in scena a Parigi un braccio di ferro ben più vigoroso della stretta dei poliziotti ai manifestanti scesi in piazza per criticare la politica del governo francese. Di mezzo la legge entrata in vigore dopo il sì espresso a ottobre dal Parlamento francese e che vieta di indossare il velo integrale islamico nei luoghi pubblici. Stop al burqa (che scherma totalmente viso e occhi) o al niqab (che lascia scoperti solo gli occhi) o a chiunque si copra il volto con un velo, un casco o una maschera negli spazi pubblici francesi, dalle strade ai giardini pubblici dalle stazioni ai negozi (nelle scuole il divieto di indossare simboli religiosi era già stato introdotto nel 2004). Questione di sicurezza, ma soprattutto questione di dignità delle donne, secondo i vertici della Repubblica francese.
Parigi fa da apripista e diventa il primo Paese in Europa a mettere al bando il velo islamico. Ma si trasforma anche nel primo Paese in Europa che combatte ufficialmente un simbolo, «simbolo religioso» per i musulmani, «simbolo di oppressione», un «affronto ai principi di uguaglianza e laicità» per il presidente in carica. E la sfida da ieri si è fatta incandescente. Da una parte Nicolas Sarkozy, la sua voglia di lasciare un segno in patria e in tutta l’Unione europea, il suo impegno per liberare le islamiche dalla «prigione», ma anche il suo tornaconto politico, l’obiettivo di non perdere terreno nei confronti della destra di Marine Le Pen. Dall’altra la più ampia comunità musulmana d’Europa - stimata tra i 4 e i 6 milioni - il desiderio degli islamici di non sentirsi discriminati, l’irritazione per un provvedimento considerato lesivo dei diritti religiosi della comunità ma anche l’occasione per far sentire la propria voce e sfidare un governo occidentale.
«Non ho intenzione di togliermi il burqa, pagherò la multa tutte le volte che è necessario», ha detto Newal, una delle donne senza volto arrestata ieri dalla polizia. I funzionari l’hanno fermata perché partecipava a una manifestazione non autorizzata, ma avrebbero potuto multarla: fino a 150 euro per essersi rifiutata di mostrare il volto in pubblico e fino a 30mila euro (raddoppiati a 60mila se la donna è minorenne) e due anni di carcere per chi l’avesse costretta a farlo. Eppure Newal non si è fermata come non si è fermata Kenza Drider, 32 anni, 13 dei quali passati col volto coperto da un velo, fotografata e filmata dalle tv di tutto il mondo mentre sale con indosso il suo niqab sul treno che da Avignone la porta a Parigi. «La legge infrange i miei diritti europei: non posso che difenderli». Toni pacati quelli di Kenza. Del tutto diversi da quelli usati dalla Islamic Human Rights Commission di Londra, che ha definito la legge «un nuovo passo verso il fascismo di Stato».
I Fratelli musulmani parlano di «atteggiamento da neo-crociata», «l’inizio di una pericolosa battaglia». I soldati questa volta hanno gonne lunghe e armature di stoffa. Sono circa duemila. Chissà se combatteranno o deporranno i veli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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