Roma - Non nasconde i suoi dubbi Massimo D’Alema. Sull’operazione militare guidata dagli Stati Uniti a Herat, ma pure sulla detenzione di Rahmatullah Hanefi, il mediatore di Emergency arrestato dalle autorità afgane con l’accusa di collaborazionismo dopo la liberazione di Daniele Mastrogiacomo. Perplessità, quelle espresse dal titolare della Farnesina davanti alle commissioni Difesa e Esteri del Senato, cui segue il consueto carosello polemico, con la sinistra radicale a invocare il «ritiro definitivo» e l’opposizione a chiedere conto di una posizione che «resta ondivaga». D’Alema ha ancora una volta il difficile compito di restare in equilibrio tra l’intransigenza di Prc, Pdci e Verdi e le ragioni della diplomazia. Ancora più arduo del solito, visto che il raid americano di qualche giorno fa al confine con l’Iran ha sì portato all’uccisione di oltre 130 guerriglieri talebani ma è stato pure accompagnato da una vera e propria strage di civili, con oltre 50 caduti.
Così, convocato in Senato per riferire sul sequestro Mastrogiacomo e sull’arresto di Hanefi, il vicepremier non può prescindere dalla crisi che si è aperta lunedì tra Roma e Washington. Il problema, già sollevato dal ministro della Difesa Arturo Parisi, riguarda proprio l’operazione «Silicone», decisa dagli Stati Uniti senza avvertire né i militari italiani (che nella zona di Herat hanno il comando del contingente Isaf), né gli spagnoli. Modalità, dice D’Alema, che «costituiscono motivo di preoccupazione». Anche perché, aggiunge il ministro degli Esteri, «le operazioni militari che colpiscono i civili rischiano di alienare il consenso della popolazione stessa». Insomma, azioni del genere alla fine sarebbero «controproducenti» soprattutto per chi presidia l’area. Il riferimento è all’attacco di martedì, col ferimento lieve di tre militari della Brigata Sassari. «Un atto intimidatorio», secondo D’Alema, che rappresenta l’ostilità crescente della popolazione e che «preoccupa fortemente». Comunque, aggiunge, «restano invariate le condizioni di impiego del contingente italiano» che in caso di offensiva talebana «deve essere messo in condizioni di difendersi». Anche se, conclude, serve anche un «crescente impegno politico» che culmini nella conferenza che si terrà a Roma il 3 e 4 luglio. Un summit decisivo, fa sapere il capogruppo al Senato del Prc, Giovanni Russo Spena. Perché se non porterà risultati «l’Italia dovrà riconsiderare le proprie scelte». E pure Pdci e Verdi sostengono le ragioni del ritiro immediato perché, dice il presidente dei senatori Manuela Palermi, «è sempre più difficile capire cosa ci stiamo a fare in Afghanistan».
Dall’opposizione arriva la replica dell’ex ministro degli Esteri Gianfranco Fini, secondo il quale D’Alema «dà una visione di ciò che sta accadendo che non corrisponde alla realtà». Perché, spiega, «credo che gli americani abbiano agito nell’ambito della missione Enduring Feedom, mentre il contingente italiano agisce nell’ambito Isaf». Insomma, «due missioni parallele che hanno perimetri di intervento e margini di autonomia diversi». Per il vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto, invece, D’Alema «è tra l’incudine ed il martello». Perché, spiega, «deve tenere conto della posizione della sinistra estrema, che non considera nemici i talebani ma gli americani, e nello stesso tempo cercare di non perdere il rapporto con gli Usa». E dunque «non può fare a meno di barcamenarsi oscillando tra due posizioni inconciliabili». Il governo, accusa l’azzurro Osvaldo Napoli, «continua pilatescamente a latitare e a recitare due parti in commedia su una situazione ormai esplosiva».
Sulla vicenda Hanefi, intanto, ennesima polemica tra Romano Prodi e Gino Strada.
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