Controcultura

Gli scrittori zombie

Cosa resta del Gruppo 63? Uno solo, Alberto Arbasino, e non solo del Gruppo 63, dove alla fine c'erano i soliti fighetti intellettuali smandrappati senza arte né parte a parte essere comunisti, senza opera.

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Cosa resta del Gruppo 63? Uno solo, Alberto Arbasino, e non solo del Gruppo 63, dove alla fine c'erano i soliti fighetti intellettuali smandrappati senza arte né parte a parte essere comunisti, senza opera. Nanni Balestrini, Angelo Guglielmi, Furio Colombo e compagnia bella, impegnatissimi politicamente e poco a produrre opere che andassero al di là del loro tempo, mentre Arbasino mette le cose in chiaro fin dalle prime pagine del suo capolavoro, Fratelli d'Italia, pubblicato nel 1963 a soli trentadue anni, quando al poverismo di sinistra neorealista contrappone una MG che gli hanno regalato i genitori, «celeste-pervinca come i miei begli occhi, deliziosissima, come del resto è anche giusto: tanto mio papà ha più di dieci milioni di franchi al Crédit Suisse, e in casa siamo pochissimi, il boccon di pane non dovrebbe mancare mai». Il cosiddetto postmoderno? Lo ha inventato Arbasino, perché in quel romanzo scritto e riscritto più volte (e senza contare i pamphlet, i reportage, i Super Eliogabalo e le belle di Lodi) ha prodotto l'unica opera veramente postmoderna, romanzo infinito che parla di romanzi, troppo colto per tutti, ma a lui che gliene fregava, era sopra tutti, e poteva permettersi di tutto. Già, Fratelli d'Italia, protagonisti due omosessuali: pensate, negli anni Sessanta, con lui, chiamato l'Elefante, che andava a caccia sessuale di giovani aviatori, senza farsi problemi, e senza quella visione mistica e tragica e patetica di Pasolini. Pur frequentando Moravia, Pasolini, la Morante, Calvino, non risparmiava stilettate che valgono ancora oggi, per esempio osservando come da noi «si fanno con serietà le graduatorie fra libri alla portata di tutti, che vanno lodati, e quelli biasimevoli perché di élite. Gente che mai oserebbe vantare una millecento contro una Jaguar o una Mercedes, elogia Moravia in quanto bestseller per la gente comune, rispetto a Gadda e Beckett che hanno la colpa di essere troppo difficili e dunque d'avere pochi clienti».

Arbasino è lì, tra i più grandi scrittori del Novecento, e resterà un monolite incontrastato e anche poco letto dai contemporanei perché, appunto, troppo difficile. Si definiva nipotino di Gadda, oggi i nipotini di Arbasino sono pochi, le gare si fanno tra autori che scrivono il loro prodotto per vincere il famoso premio, non per fare letteratura. Pensate che una nuova, monumentale riscrittura di Fratelli d'Italia finì finalista al Premio Campiello, nel 1994, che fu vinto da Sostiene Pereira, di Antonio Tabucchi. Per il resto mai uno Strega né una lamentela, mentre oggi gli autori da premio si lagnano se sono esclusi dalla cinquina per altri come loro, oppure si lagnano se non vengono premiate femmine (come se ci fosse differenza, sono tutti uguali). «D'altra parte, il pubblico dei libri è il solo che cerca i prodotti più venduti alla massa, non come quello dei ristoranti e delle boutiques che esige articoli chic e di élite.

E dunque le cabale degli editori e dei premi devono pur tenerlo in vita, il povero morto: sotto gli ombrelloni, le lettrici di massa aspettano il romanzo più venduto alle folle, non certo un costume da bagno uguale alle altre! E hanno già buttato via la produzione dell'anno scorso!».

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