Se il cinepanettone tradisce gli animali

E anche quest'anno, puntuale come la morte, arriva il cinepanettone con il solito De Sica affiancato da qualche attore comico (si fa per dire) e dalla «gnocca» di turno, che non è proprio una Susan Sarandon, quanto a recitazione, ma sul cui lato B non si discute. D'altronde lo ha affermato la stessa Belèn che è inutile fare discorsi ipocriti, visto che, nel cinepanettone, l'ingrediente fisico femminile è una tematica dalla quale non si può esulare. Ambientato quest'anno in Sudafrica, il cinenatale panettonaro, ci offre l'opportunità di qualche considerazione seria sul rapporto tra gli animali e il cinema.
Accanto ad animali veri e per i quali pare il cast abbia penato non poco nel suo soggiorno e nella realtà (qualche serpente e qualche insetto gigante di troppo), nella pellicola candita compare tutta una serie di animali selvatici, molti dei quali finti, che mostrano, nei confronti dell'uomo, i tratti di una cattiveria, di un volere dispettoso che in natura non gli appartengono.
A volte anche film leggeri e insignificanti che non lasceranno traccia di sé nel futuro potrebbero essere un'occasione per presentare uno spaccato della natura.
D'accordo, l'obbiettivo di un cinepanettone non è certo quello di fare informazione naturalistica, ma proprio perché visti da un largo pubblico in cerca di un’evasione gastrica dopo le abbondanti libagioni, non ci sarebbe nulla di male nel trasmettere qualche tratto di natura e non un palcoscenico dove sale di volta in volta l'ippopotamo che, con l'aiuto di un super lassativo, spara dal sedere valigette di diamanti, o serpenti stesi dalla pipì di De Sica o ancora leoni messi in fuga da rutti giganteschi.
Ormai sono gli stessi attori, eroi del film con l'uvetta passa, a sacrificare ogni verisimiglianza all'effetto comico trash e, con questo per volere del regista (in questo caso Neri Parenti) trascinano nel grottesco, o peggio nel gioco cattivo, animali selvatici che già si portano dietro il loro fardello di antropomorfizzazione catastrofica: il killer della savana, il veleno più potente del mondo, il rettile dei sei passi, l'insetto che non perdona.
La filmografia storica, specie quella d'oltre oceano, è quasi sempre stata molto generosa con gli animali, soprattutto quelli domestici, sia nella fiction dei cartoons che nella realtà della documentazione quotidiana.
Da Lassie a Rin Tin Tin, dai Dalmata della Carica dei 101 agli Aristogatti, dagli infiniti animali nati dalla «penna» del vecchio e amato Walt a quella dei Barbera (come dimenticare Tom e Jerry e l'orso Yoghi?), la sfilata delle loro sagome inconfondibili e dei loro tratti «umani», per quanto volutamente edulcorata, mostra sempre le caratteristiche di bontà, generosità e solidarietà (Ettore che difende Titti dagli attacchi di Silvestro) che troppo spesso vengono dimenticati o distorti da certe pellicole commerciali che ridicolizzano o vogliono mostrare il lato cattivo di chi striscia, vola o corre nella savana come sulle nevi eterne.


E allora piuttosto ridateci Willy (che è un vero coyote) e Bip Bip (che è un vero uccello americano, il Geococcyx californianus) nell'eterna battaglia che Chuck Jones ha inventato per loro, veri attori comici e simpatici, presi dalle praterie del Nuovo Mondo senza bisogno di glasse e canditi.

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