Economia

Se la finanza rossa ora rialza la testa

Nell’inverno 2011 i mercati più l’asse franco-tedesco hanno chiuso l’esperienza del governo Berlusconi. L’arrivo di Monti e l’influenza di Napolitano, hanno modificato lo scenario

Se la finanza rossa ora rialza la testa

Se si pensa a un anno fa, quel che resta della «finanza rossa» sta tirando un sospiro di sollievo. All’Unipol ci si leccava le ferite in attesa del processo «Bnl»: l’amministratore delegato Carlo Cimbri sarebbe stato condannato in primo grado nel novembre 2011. A Torino, Piero Fassino in corsa per sindaco si prostrava anticipatamente al potere bazoliano. Le municipalizzate erano sotto accusa. Manager e politici più o meno definibili dalemiani erano investiti da indagini giudiziarie (da Franco Pronzato a Vincenzo Morichini sino a Filippo Penati con sullo sfondo l’uomo chiave, Roberto De Santis, sfiorato da crescenti pettegolezzi). Giuseppe Mussari e il suo Monte dei Paschi si erano ritirati sotto l’ala di Giovanni Bazoli. Dietro alcune di queste vicende c’era chi coglieva (in analogia con la stagione 2005) l’azione del duo De Benedetti-Prodi che preparandosi alla battaglia per acquisire a quest’ultimo il Quirinale si liberava delle ingombranti scorie postcomuniste. Poi, però, nell’inverno 2011 i mercati più l’asse franco-tedesco hanno chiuso l’esperienza del governo Berlusconi, e l’arrivo di Mario Monti e Corrado Passera più l’esorbitante influenza di Giorgio Napolitano, hanno modificato lo scenario, e le truppe sbandate della finanza postcomunista hanno ritrovato qualche ruolo: più da ascari che da protagonisti, ma almeno non precipitati nell’inferno debenedettian-prodiano.
A Torino contando sull’appoggio della Fiat e di Passera (nonché del governatore leghista Roberto Cota), Fassino è riuscito a mettere alla testa della decisiva (in Intesa) fondazione Compagnia San Paolo, Sergio Chiamparino, imponendolo a Enrico Salza e Giovanni Bazoli che hanno fatto buon viso a cattivo gioco. A Mediobanca si sono inventati per rimediare al crollo dei Ligresti, un ruolo dell’Unipol. Passera ha creato un nuovo spazio per Edipower mettendo insieme le municipalizzate controllate dalla sinistra di Bologna, Torino, Genova e Milano, condite da quelle di centrodestra di Roma e Brescia, conferendo di fatto peso agli emiliani e ai torinesi (pur moderato dall’iniziativa di un ex dc, molto amico sia di Bazoli sia di Carlo De Benedetti come il potentissimo assessore milanese Bruno Tabacci). Infine il malandato Monte dei Paschi, mollato da Franco Caltagirone, si sposerà probabilmente al fondo Clessidra, articolando le alleanze di una banca divenuta antidalemiana, dopo De Santis, ma influente nelle vicende postcomuniste.
Le manovre di Passera e i paracadute di Napolitano hanno ridato spazio a un mondo che i debenedettian-prodiani volevano spegnere (e basta vedere gli insulti a Unipol e le punzecchiature al ministro per lo Sviluppo che vengono dai giornali del gruppo De Benedetti per capire l’irritazione per la manovra non riuscita), però tra i protagonisti dei grandi giochi non c’è più niente di simile al Massimo D’Alema di Palazzo Chigi: le battaglie hanno al loro centro Caltagirone, la ritrovata Fiat, un Bazoli sulla difensiva, le nuove truppe intorno a Palladio.

Ai postcomunisti solo ruoli di complemento.

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