Se il garantismo non garantisce più

Se il garantismo non garantisce più

Egidio Sterpa

Sono, come penso sia noto, sostenitore dell’intervento americano in Irak, però non considero immotivate le critiche che, per esempio, il New York Times rivolge a Bush per aver autorizzato segretamente, già dal 2002, l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (Nsa) a effettuare intercettazioni delle comunicazioni a carico di cittadini americani. Motivi seri ce n’erano e ce ne sono tuttora (i bestiali attentati del settembre 2001, i conseguenti rischi di altri atti di terrorismo), ma non c’è dubbio che la decisione di Bush contraddice il tradizionale valore americano delle libertà civili e contrasta giuridicamente con la norma che vieta lo spionaggio domestico senza l’approvazione della Foreign intelligence surveillance act court, una speciale istituzione che garantisce i cittadini americani da soprusi a danno della loro privacy.
Il New York Times, troppo duramente, ha addirittura definito «un ritorno al Medio Evo» le misure autorizzate da Bush, comprendendovi il trattamento riservato ai sospetti di terrorismo. Fatto sta che anche il Senato, dove i repubblicani hanno la maggioranza, non ha più approvato, alla scadenza dei quattro anni, tutte le norme del Patriot Act (e cioè la legislazione antiterrorismo) con una motivazione tranchant: lede i diritti individuali, determina gravi erosioni alle libertà civili.
L’Italia non vive certo le tensioni e le preoccupazioni degli Stati Uniti, ma ad uno spirito liberale non può sfuggire la gravità dell’uso che viene fatto del controllo delle comunicazioni private fra cittadini con intercettazioni che spesso, oltre tutto, sono rese pubbliche dai giornali e perciò non di rado determinano un vero e proprio linciaggio di persone imputate sì ma non ancora condannate e magari destinate all’assoluzione in quanto innocenti.
Da circa un quindicennio talune manifestazioni della giustizia italiana hanno assunto caratteri opinabili, si potrebbe dire reazionari, che la cultura liberale deve sentire il dovere di segnalare e contrastare.
Siamo, è chiaro, in materia di garantismo, concetto che appartiene alla dottrina giuridica e politica del liberalismo e perciò al concetto di Stato di diritto. Ecco il punto: è valore liberale e democratico la violazione della privacy di un cittadino? E quando ciò avviene per serie motivazioni e legali autorizzazioni, come viene garantita la riservatezza? È un fatto ineccepibile che finora quasi sempre i testi delle intercettazioni, soprattutto nei casi più delicati, finiscano sui giornali. È pure incontestabile che l’Autorità garante della privacy, nata per tutelare i diritti del cittadino, poco o nulla ha potuto finora per impedire l’uso illecito dei testi delle intercettazioni, che dovrebbero rimanere rigorosamente in possesso riservato dell’autorità giudiziaria.
Le intercettazioni, va da sé, vengono decise e ordinate dal magistrato ma sono organizzate e gestite da speciali aziende, quelle telefoniche per esempio, ovviamente con la partecipazione e il controllo di forze di polizia. Ebbene, è in questi passaggi che avviene spesso la fuga dei testi delle intercettazioni. Una volta registrati, essi vengono ovviamente trasmessi all’autorità giudiziaria, ma presso chi li ha gestiti e raccolti rimangono, per così dire, tracce e copie.
Recentemente una fonte dell’Autorità garante della privacy ha potuto dichiarare (Repubblica del 22 dicembre): «C’è l’esigenza di garantire i cittadini e controllare che i gestori delle intercettazioni operino con la massima riservatezza, perché nessuno venga a conoscenza delle intercettazioni». Aggiunge la stessa fonte: «I dati raccolti durante le intercettazioni, una volta trasmessi all’autorità giudiziaria, dovrebbero essere immediatamente cancellati». Infatti, non c’è alcuna garanzia che questi dati non siano conservati, per esempio, nei «data base» dei gestori.
In definitiva, è lecito pensare che la fuga continua di intercettazioni avvenga per una delle tre vie possibili: il gestore degli ascolti, le forze di polizia che svolgono servizio di controllo, il magistrato che ne è l’ultimo e legittimo possessore.
È un tema questo che merita attenzione particolare da parte del legislatore, che tra l’altro in questi anni si è premurato di approvare norme che garantiscano la privatezza dei dati personali dei cittadini (quante dichiarazioni, per esempio, vengono richieste a questo scopo da datori di lavoro, nel mondo sanitario e in altri settori?). E però nella legislazione italiana, e soprattutto nella sua applicazione, esistono a questo proposito norme e consuetudini che confliggono con le particolari garanzie dei diritti dei cittadini. La legislatura in corso è in scadenza e dunque non c’è alcuna possibilità che la materia venga affrontata compiutamente, ma essa va segnalata, in nome dei valori del garantismo, a futura memoria del prossimo Parlamento.

È norma liberale che, a garanzia delle libertà e dei diritti del cittadino, uno Stato democratico detti regole che evitino l’eccesso del potere sia da parte di chi promulga leggi, sia da parte di chi è chiamato ad applicarle.

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