Se il talento si svela tra le pagine di un album

Bugie e falsità. Ipocrisia e disillusioni: questo mondo è rivoltante. Solo l'arte può tentare, ma è solo un tentativo, una temporanea trattativa appunto, di farci sopravvivere al disgusto: non faceva sconti, Thomas Bernhard, né alla vita né alla morte. E tantomeno alla speranza. Per questo poterlo spiare dall’otturatore di una macchina fotografica mentre attraversa i momenti più importanti della sua, di vita, insieme alle persone che indubbiamente amò, e ai luoghi che lo videro soffrire, scrivere, tentare il suicidio e abbandonare ogni speranza di fratellanza con il suo prossimo, tantopiù se viennese («Tutto sembra suggerire che dentro sia anche più sporco che fuori») emoziona quanto una piccola epifania. Se Bernhard è tra i vostri autori di culto, ma ancor più se non lo conoscete affatto, questa raccolta di fotografie, alcune delle quali privatissime, è per voi.
Tuttavia ci sono alcune cose che bisogna ricordare prima di avvicinarsi ai 37 scatti di Thomas Bernhard inedito, la mostra che apre oggi nel foyer del Teatro dell'Elfo, promossa dal Forum Austriaco di Cultura, composta di immagini che arrivano in Italia per la seconda volta (la prima fu a Udine, quasi dieci anni fa grazie all'Associazione Biblioteca Austriaca), mai pubblicate nel nostro Paese e scelte dal fratellastro di Bernhard, Peter Fabjan, unico erede e fondatore dell'archivio di villa Stonborough-Wittegenstein a Gmunden, che raccoglie anche dattiloscritti e testi inediti del più importante scrittore, drammaturgo e poeta austriaco del Novecento.
Le cose più semplici da ricordare prima di vedere la mostra riguardano alcuni dati biografici e servono a riconoscere i luoghi in cui vedrete il bambino Bernhard, e poi il ragazzo e l'adulto. Nacque nel 1931 in Olanda per caso e per necessità. Visse a Vienna la primissima infanzia, insieme al nonno scrittore Johannes Freumbichler. Si trasferì in Baviera nel 1938 insieme ai nonni, alla madre e al suo nuovo compagno Emil Fabjan. Poco meno che ventenne, finì in sanatorio, dove conobbe Hedwig Stavianicek, di 36 anni più anziana, e che con lui rimase fino alla propria morte, e iniziò a scrivere. Gelo (1963), Correzione (1975), Il soccombente (1983), A colpi d'ascia (1984), i suoi scritti autobiografici e il teatro (L'ignorante e il folle, Ritter, Dene, Voss, Il teatrante, Piazza degli eroi tra i drammi) sono tra le opere che hanno fatto il giro del mondo. Morì nel 1989 vicino a Gmunden, in alta Austria, in una casa che impiegò 15 anni a ristrutturare come voleva.
Poi vi sono altre cose da ricordare, così intense da risultare a volte insopportabili. Così private che dallo sguardo di Bernhard si vorrebbe a tratti distogliere il proprio e a tratti invece essere con lui su quella panchina, in quel caffè di Vienna, tra le mura di quelle case, nella sua mente. Iniziò precocissimo a studiare musica, a rinunciarvi e a sentirsi discriminato in Germania, perché austriaco. Precocissimo ad avere un'educazione repressiva e nazista in un istituto di rieducazione. Precocissimo a covare un desiderio insopprimibile di suicidio. Precocissimo a capire, attraverso la figura del nonno materno, che per i sensibili l'arte è un marchio a fuoco tanto forte quanto quello della disperazione. Precocissimo ad amare per tutta la vita del suo amore, Hedwig Stavianicek: «Senza di lei, non avrei vissuto affatto. O almeno, non sarei mai stato la persona che sono oggi, così folle e così infelice, e felice allo stesso tempo». E precocissimo comprese che se in una foto si sorride, tutti guardandola penseranno che sei una persona felice.

Soprattutto gli austriaci, che «basta trattare amichevolmente perché ti trasformino in un artista di cabaret». Eppure, una volta, su una panchina, persino Bernhard sorrise. È l'ultima cosa che va ricordata, prima di vedere la mostra.

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