Serbia e Kosovo entrino nell’Ue

I prossimi 28 e 29 ottobre in Serbia la nuova Costituzione sarà sottoposta a referendum popolare. Approvata all’unanimità dal Parlamento in carica, la nuova Carta va a sostituire quella che era stata varata quando il Paese si trovava ancora in un regime di partito unico, ovvero all’epoca di Milosevic. Nessuno teme che al referendum i «no» prevalgano sui «sì». Resta però da vedere in quale misura il «sì» si affermerà. Tenuto conto della posta in gioco la maggioranza non basta. Politicamente occorre che la prima Costituzione democratica della Serbia raccolga una larghissima maggioranza di consensi. Se ciò avverrà, come ci si augura, si potrà dire che la Serbia si è finalmente lasciata alle spalle non solo il suo passato comunista ma anche il suo passato autoritario in genere, del quale l’epoca della Jugoslavia titina è soltanto un capitolo.
Sin dalla sua nascita nel 1918, la Jugoslavia altro non fu che lo spazio assegnato all’imperialismo regionale serbo dalle potenze vincitrici della Prima guerra mondiale: fuori di lì non doveva andare, ma lì dentro aveva mano libera o quasi. Si definì così uno status quo, che gli equilibri di Yalta confermarono al di là del cambio di regime. Nell’ultimo decennio del secolo il venir meno di tali equilibri segnò inevitabilmente la fine della Jugoslavia, avvenuta nei modi drammatici che sappiamo. Se, come si deve sperare, il prossimo referendum costituzionale concluderà il difficile processo di riadeguamento strutturale e di democratizzazione istituzionale della Serbia, da quel momento in avanti sarà opportuno dare il via a un processo di rapido avvicinamento del Paese all’Unione Europea.
In questa prospettiva l’Italia ha da giocare un ruolo di primo piano. Mentre la Germania pilotò la transizione dei Paesi centro-europei già sotto l’ègida dell’Urss evitandone lo sconquasso e favorendone il tempestivo ingresso nell’Ue, l’Italia non seppe fare altrettanto nel caso dei Paesi danubiani e balcanici (che analogamente gli competeva per motivi sia storici che geografici). Adesso occorre cercare quantomeno di ricuperare quanto più possibile il tempo perduto.
In tale prospettiva la questione più urgente è quella del Kosovo, terra sotto protettorato internazionale ma tuttora sotto sovranità serba. I negoziati per lo status definitivo del Kosovo, aperti nello scorso febbraio, da allora a oggi non hanno fatto passi avanti. Lo scoglio è la questione dell’indipendenza: i serbi sono disposti a concederla di fatto ma non diritto, mentre per gli albanesi del Kosovo quella dell’indipendenza di diritto è una richiesta inderogabile.

Una soluzione potrebbe essere quella di collegare il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte della Serbia all’ingresso simultaneo dell’uno e dell’altra nell’Unione europea. In un tale contesto la rinuncia della Serbia al Kosovo sarebbe meno dolorosa, e il definitivo distacco del Kosovo dalla Serbia non implicherebbe alcun rischio di diventare lacerante sul piano socio-economico.

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