Una serenata jazz sulla «rive gauche»

La cantante e il trombettista ebbero un’intensa ma brevissima relazione a Parigi nel 1948. Che Walter Mauro ha trasformato in un romanzo

Parigi 1948. A Montparnasse, nel Quartiere Latino, al Cafè de Flore, al Deux Magots, nel Club Saint-Germain (com’era chiamata la cava di rue S. Benoit), finita la guerra, esplode la voglia di libertà. Sono i luoghi d’incontro di scrittori, poeti, filosofi e artisti che sarebbero divenuti i protagonisti di un momento memorabile della cultura europea: Boris Vian, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Albert Camus, Pablo Picasso, Franz Fanon, Raymond Queneau, Marguerite Duras, una giovanissima Edith Piaf, James Baldwin e Françoise Sagan, divenuta poi famosa per il suo romanzo Bonjour Tristesse, nel quale si ritrova l’atmosfera di quei giorni.
Nella capitale francese anche la musica, con in primo piano «la regina» Juliette Greco, splendida interprete dei versi di Aragon e di Prévert, conquista un pubblico vastissimo e dal clima di fantasia surrealista sono attratti i giganti del jazz americani: Thelonious Monk, Louis Armstrong, Duke Ellington, Count Basie, John Coltrane, Charlie Parker, Sidney Bechet, Kenny Clarke, Billie Holiday, Sarah Vaughan e Miles Davis, allora poco più che ventenne, il quale aveva deciso di recarsi a Parigi alla ricerca di un mondo non oppressivo come quello americano, ancora assoggettato ai pregiudizi razziali.
Durante la prova del concerto che doveva tenere alla Salle Pleyel, Davis incontrò Juliette Greco. «La vide lì, nella penombra della sala della prova, seduta in prima fila ad ascoltare i suoni ed il monologo di quella tromba irripetibile, e scattò in lui qualcosa di antico, di arcaico, una religione della bellezza che accoglieva in sé la più ampia gamma di rituali che potesse immaginare, lui che veniva da un Paese razzista... Juliette aveva una pelle di un biancore assoluto, totale, invadente che sfrecciava ovunque, lungo quel corpo statuario rannicchiato su una sedia ad ascoltare rapita il monologo». La cantante fu rapita dalla visione di quella pelle nera, di un’assoluta lucentezza. «Miles sprigionava black beauty da ogni gesto, da ogni movenza del corpo, dal volto, dalle dita».
Walter Mauro, nel romanzo Miles e Juliette. Una storia d’amore a ritmo di jazz (Giulio Perrone Editore, pagg. 125, euro 10) descrive con una prosa vibrante il brivido del momento dell’incontro fra i due artisti, dal quale sarebbe nato un amore intenso - per quanto durato solo due settimane - in cui, al fremente coinvolgimento fisico, si accompagnarono accenti di confessione personali e dolorosi. «C’era il sapore aspro e sanguigno di quella pelle nera che andava a poggiarsi sul candore dei fianchi di Juliette» scrive Mauro. Ma c’era anche la consapevolezza che tutto sarebbe finito presto, che la loro avventura non avrebbe potuto continuare. Per lei si trattava di dimenticare un tristissimo passato, che solo il canto riusciva a placare, a farle trovare la gioia agognata. Per Miles c’erano il tormento di sentirsi nero in un Paese che lo riteneva inferiore per il colore della pelle, che lo spingeva a suonare la tromba con le spalle rivolte al pubblico di bianchi, e il ricordo amaro delle piantagioni della Louisiana dove era cresciuto.
Un amore struggente, avvolto dalla malinconia, da un’invincibile desolazione esistenziale e che non avrebbe dissuaso il musicista dal tornare negli Stati Uniti, dove la sua vita avrebbe assunto accenti tragici. I due si sarebbero ancora incontrati occasionalmente altre volte, ma ormai il brivido era passato, non era possibile far rivivere i ricordi. Miles Davis stava combattendo la sua inutile battaglia contro la droga, mentre la Greco aveva trovato altri amori.
Avvincente e godibile, il romanzo di Mauro - non importa se qualche disincantato lettore possa essere tentato di sostenere che nell’abilità romanzesca dell’autore un’avventura sessuale si sia trasformata in un amore - fa rivivere il clima magico della rive gauche, un mondo di poesia, carico di sete di libertà, di avventura, di forti sensazioni. Da esperto critico, l’autore trasmette la sua passione per la musica in pagine in cui risentiamo la voce di Juliette Greco e il suono impareggiabile della tromba di Miles Davis, e avvertiamo la disperazione della sua agonia esistenziale, quando gli amici di un tempo lo lasciarono solo, frequentandolo raramente. Davis era divenuto un uomo chiuso a cui era difficile parlare, tentare di consolarlo. Si presentava sul palco come un automa, ostinandosi a suonare, malgrado il suo crollo fisico e artistico apparissero impietosamente agli occhi di tutti.


Nel leggere la storia d’amore fra Juliette e Miles sembra di ascoltare i versi delle Foglie morte di Prévert, poesia struggente che ha ispirato una splendida canzone. La vita separa chi si ama, senza nessun rumore, lentamente «e il mare cancella sulla sabbia / i passi degli amanti divisi».

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