«Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?»

Sono camion italiani quelli laggiù, sono i nostri Fiat e i nostri Bianchi. Siamo fuori, è finita. Ci sono venuti incontro per caricare i feriti e i congelati o chiunque voglia saltarci sopra. Guardo i camion e passo oltre. La mia piaga puzza, le ginocchia mi dolgono, ma continuo a camminare sulla neve. Delle tabelle indicano: 6º alpini; 5º alpini; 2º artiglieria alpina. Battaglione Verona, e il mio compagno se ne va senza che me ne accorga. Battaglione Tirano, battaglione Edolo, gruppo Valcamonica e la colonna si assottiglia. 6º alpini; battaglione Vestone, indica una freccia. Sono del 6º alpini io? Del battaglione Vestone? Avanti per di qua allora. Vestone, Vestone, el Vestù. I miei compagni. «Sergentmagiù ghe rivarem a baita?». Sono a baita. Adesso e nell’ora della nostra morte. «Vecio! Ciao Vecio!» Ma chi è quello? Sì, è Bracchi. Mi viene incontro, mi batte una mano sulla spalla. Si è lavato, si è fatto la barba. «Vai laggiù, Vecio, in quelle isbe troverai la tua compagnia.» Guardo e non dico niente. Lentamente, sempre più lentamente vado laggiù dove sono quelle isbe. Sono tre, nella prima vi sono i conducenti con sette muli, nella seconda la compagnia e nella terza un’altra compagnia. Apro la porta, nella prima stanza vi sono dei soldati che si stanno radendo e pulendo. Mi guardo attorno. «E gli altri?» dico. «Sergentmagiù! Sergentmagiù!». «È arrivato anche Rigoni» gridano. «E gli altri?» ripeto. C’è Tourn e Bodei, Antonelli e Tardivel. Visi che avevo dimenticato. «E allora è finita?» dico. Sono contenti di rivedermi e qualcosa dentro di me si muove, ma lontano come una bolla d’aria che viene dagli abissi del mare. «Vieni» dice Antonelli. E mi accompagna nell’altra stanza dove c’è un ufficiale che era alla compagnia Comando. «È lui che comanda la compagnia» dice Antonelli. C’è anche il furiere e su un pezzo di carta annota il mio nome. «Sei il ventisettesimo» dice. «È stanco, Rigoni?» mi chiede il tenente. «Se vuole riposare si accomodi in qualche modo».
Mi butto sotto il tavolo che è appoggiato a una parete e sto lì rannicchiato. Tutto il giorno e tutta la notte seguente sto lì sotto ad ascoltare le voci dei miei compagni e vedere i piedi che si muovono sulla terra battuta del pavimento.
Alla mattina esco fuori e Tourn mi porta un po’ di caffè nel coperchio della gavetta. «Come va, Sergentemagiù?» «Oh Tourn, vecio! Sei tu, vero? E gli altri?» dico. «Sono qui» dice, «vieni». Il plotone, il nostro plotone pesante. «Dove sono?» «Vieni, Sergentemagiù». Chiamo vicino a me Antonelli, Bodei e qualche altro. «Giuanin» chiedo, «dove è Giuanin?». Non mi dicono niente. «Ghe rivarem a baita?». Di nuovo domando di Giuanin. «È morto» mi dice Bodei. «Ecco il suo portafogli». «E gli altri?» chiedo. «Siamo in sette con te» dice Antonelli. «In sette con te del plotone pesante. E quella recluta» e mi indica Bosio «ha una gamba spezzata».

«E tu Tourn? Mostrami la mano» dico. Tourn mi stende la mano aperta. «Vedi» dice, «è guarita, vedi come la cicatrice è sana». «Se vuoi farti la barba vado a scaldarti dell’acqua» dice Bodei. «Ma non importa, perché?» rispondo. «Puzzi» mi dice Antonelli.

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