Politica

«Serve la firma congiunta di Presidente e Guardasigilli»

Baldassarre: «La maggioranza della dottrina ritiene che il potere della grazia sia duale». Tesi condivisa dagli ex presidenti Zagrebelski, Elia e Onida

Anna Maria Greco

da Roma

Divide i costituzionalisti il ricorso alla Consulta del presidente Carlo Azeglio Ciampi, che ha sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nei confronti del Guardasigilli. Si parla della grazia a Ovidio Bompressi (e in controluce ad Adriano Sofri), cui il ministro Roberto Castelli si oppone, ma la questione va molto al di là del caso singolo, chiamando la Corte costituzionale a dire una parola definitiva sulla competenza dell’atto di clemenza.
«La questione è discussa - spiega l’ex presidente dell’Alta Corte, Antonio Baldassarre -, ma per la maggioranza della dottrina ritiene il potere della grazia è duale, in concorso tra presidente della Repubblica e ministro della Giustizia. Una minoranza ritiene, invece, che sia esclusivamente del Capo dello Stato». Baldassarre si schiera tra i primi, ma aggiunge che è difficile pronunciarsi sull’esito del ricorso, comunque ammissibile «perché si tratta di decidere tra due competenze costituzionalmente rilevanti». Per il giurista, quando il Guardasigilli non concorda con il Quirinale può chiedere al governo di decida collegialmente, o può non controfirmare l’atto di grazia rendendo l’atto non valido. «Molti atti di grazia - dice Baldassarre - hanno un significato politico, come quella per Sofri o Bompressi e se si trattasse di un potere esclusivo del Presidente della Repubblica mancherebbe la possibilità di far valere la responsabilità politica in Parlamento. Invece, intendendolo come duale, il ministro della Giustizia può rispondere in Parlamento e non ci sarebbe una decisione politica senza responsabilità».
Ma è proprio questo significato politico della grazia che contestano altri costituzionalisti. Per Michele Ainis la posizione di chi ritiene che sia solo del Quirinale la competenza ormai non è affatto minoritaria e cita Andrea Manzella, Giuliano Amato e lo stesso Romano Prodi che si sono schierati su questa linea. Se la grazia fosse un potere duale, spiega, nel senso che una delle due parti può paralizzare l’altra, «se ne potrebbe fare un uso politico, con il grave rischio di graziare gli amici del governo e lasciare in carcere i nemici». Questo, per il costituzionalista dell’università di Teramo, «è esattamente il contrario dello spirito di un’istituzione che affida la competenza esclusiva della grazia ad un organo non politico, neutro, di garanzia costituzionale». Ainis ritiene il ricorso ammissibile, ma altri giuristi come Pier Francesco Grossi dell’università di Tor Vergata, sostengono il contrario.
A favore dell’atto duale si sono già espressi ex presidenti dell’Alta Corte come Leopoldo Elia, Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky. Quest’ultimo, sostiene che «la grazia è atto del presidente della Repubblica emesso con la collaborazione del ministro, senza che ci si possa domandare a quale volontà sia da attribuirsi il peso prevalente». Per Zagrebelsky il presidente della Repubblica non può concedere la grazia di propria iniziativa, senza la proposta ministeriale.
«La grazia è un potere presidenziale - controbatte Giovanni Pitruzzella, dell’università di Palermo - e la controfirma non sposta la decisione sul governo, attesta solo la regolarità formale dell’atto. È infatti prevista anche in altri atti presidenziali, come i messaggi e il rinvio delle leggi alle Camere.

Storicamente, con la grazia si fa prevalere un’esigenza di giustizia sostanziale rispetto all’applicazione formalistica della legge».

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