Per definire Sconcerto - lo spettacolo che va in scena oggi alle 21, sul palco del Piccolo Strehler, nell'ambito del Festival MiTo - Toni Servillo ha coniato una nuova categoria drammaturgica: il «teatro di musica», in opposizione a quel «teatro di parola» che tanto seguito ha avuto negli ultimi decenni. Eppure la musica non è la sola protagonista di questo insolito evento scenico, che vede coinvolti 35 strumentisti del San Carlo di Napoli intenti a eseguire brani composti per l'occasione da Giorgio Battistelli. Oltre a firmare la regia dello spettacolo, Servillo interpreta infatti un tormentato direttore d'orchestra che, in un flusso disordinato di parole, confessa l'indignazione e l'avvilimento - cioè, in una sola parola, lo «sconcerto» evocato nel titolo - da cui è colto quando tenta di dare un senso alla realtà. Alle sue caotiche affermazioni, pronunciate con un tono fra il malinconico e l'allarmato, fanno da contrappunto i suoni sconnessi degli strumentisti, mentre un orchestrale d'eccezione - Beppe Servillo, fratello dell'attore e cantante degli Avion Travel - cerca di instaurare con lui un dialogo dal sapore brechtiano.
Dietro alla ricercata disarmonia di Sconcerto, scritto dal poeta e drammaturgo Franco Marcoaldi, si cela una rappresentazione sarcastica dell'Italia odierna che, per il regista e attore napoletano, è un Paese caratterizzato da un acuto stridore di fondo, da continue e letali dissonanze. Servillo non è nuovo a invettive sul presente formulate attraverso spettacoli dalla chiara valenza metaforica. Anche la sua versione della Trilogia della Villeggiatura, che sarà in scena al Piccolo Grassi dal 16 novembre al 12 dicembre, insiste sullo sbandamento di cui sono preda un gruppo di borghesi oziosi e squattrinati, ma disposti a tutto pur di partecipare al rito dispendioso della vacanze. Tra vacuità esistenziale e venalità endemica, Servillo trasforma il capolavoro di Goldoni in un affresco comico e crepuscolare del nostro presente, in linea con la celebre riduzione che ne trasse Strehler nel 1954. Cinquantenne, napoletano, attore di punta del cinema italiano - tra l'altro sbalorditivo interprete di Andreotti ne Il Divo, protagonista di un film su Gorbaciov in uscita il prossimo ottobre e di Noi credevamo di Mario Martone sul Risorgimento - Toni Servillo calca il palcoscenico con irrefrenabile attivismo da più di tre decenni. Negli ultimi anni i suoi spettacoli sono stati quasi tutti coprodotti dal Piccolo, di cui è ormai tra gli attori e autori di riferimento. Nonostante questo rapporto privilegiato con la scena milanese, Servillo resta un prestigioso esponente di quella scuola napoletana che ha contaminato la lezione di Eduardo con i codici espressivi delle avanguardie. Il suo teatro fa dello sperimentalismo uno strumento e non un fine, e si assesta in un linguaggio tutto sommato classico, anche se non scevro da qualche virtuosismo attoriale.
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