Sgarbi contro gli stilisti modaioli dell’arte

Il curatore del Padiglione Italia se la prende con le Fondazioni degli imprenditori del lusso che promuovono la mediocrità, purché glamour. Da oggi la Biennale è aperta al pubblico. Il critico si fa beffe di chi si è dissociato dalla sua iniziativa ma poi è venuto a esporre

Sgarbi contro gli stilisti modaioli dell’arte

da Venezia

«Per la bellezza, contro la moda!». Alla presentazione del Padiglione Italia, ieri, Vittorio Sgarbi non ha lesinato puntuali critiche ai giornalisti che aprono la bocca senza aver prima aperto gli occhi, agli artisti che avevano dato un forfait preventivo e velenoso al suo progetto, salvo poi esserci eccome, e agli stilisti che si fanno collezionisti e/o imprenditori d’arte contemporanea.
La critica a questi ultimi ha sorpreso molti, ma era nell’aria. Mercoledì scorso su queste pagine avevamo già raccontato di come, in laguna, non sempre ci fossero affinità elettive tra la Biennale (da oggi aperta al pubblico) e le iniziative di fondazioni o società nell’orbita dei grandi marchi dell’haute couture come Prada (la mostra a Ca’ Corner della Regina curata da Germano Celant, a partire dalle collezioni di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli) e Furla («Viaggio in Italia» del giovanissimo Matteo Rubbi alla fondazione Querini Stampalia). Per non dire del gruppo del miliardario francese François Pinault (proprietario di Gucci, Yves Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, che ha inaugurato a Palazzo Grassi, due giorni fa, Il mondo vi appartiene, a cura di Caroline Bourgeois, e che è molto attivo anche con il polo espositivo di Punta della Dogana). Sgarbi ha voluto incidere ancora di più il solco che separa la «sua» arte da quella evanescente, trendy e posticcia proposta dalla moda.
«È un orrore - ha detto Sgarbi - il vortice di fumo di Anish Kapoor nella navata di San Giorgio. Un orrore, uno stupro, il marmocchio inverecondo di Julian Schnabel all’interno della nicchia di Sansovino, che certo era più lucido di lui e che oltretutto non andava in giro in pigiama. Arte inventata di sana pianta dalla moda e dal mercato internazionale. Un’arte di fumo, sostenuta da Prada, Trussardi, Fendi e pubblicizzata da Franca Sozzani, che davanti a me è riuscita a confondere Piero Guccione con Bob Guccione. Io qui a Venezia ho portato il pensiero, non gli affari». Ce n’è anche per la sovrintendente ai Beni Artistici Architettonici di Venezia, Renata Codello, accusata di aver consentito il trasferimento alla Biennale di un Tintoretto e di aver autorizzato la collocazione di tubi che sparano fumo all’esterno della chiesa palladiana sull’Isola di San Giorgio: «non si fa - ha gridato Sgarbi - è contro la legge, l’arte, la civiltà, è contro il Palladio». Gli risponde indirettamente il ministro Giancarlo Galan, manifestando rispetto per dirigenti e funzionari dei Beni culturali; e annunciando che oggi visiterà la Biennale, Padiglione Italia incluso «nonostante le intemperanze del curatore».
Ma non è ancora finita. Nelle ultime settimane molti giornalisti - Sgarbi in conferenza stampa ha alzato uno per uno i loro articoli - hanno scritto, senza prima averlo visto o avendolo visto solo work in progress, che il Padiglione Italia sarebbe stato solo un «bazar e poco altro» e che l’idea di far scegliere 200 artisti da 200 intellettuali avrebbe generato sicuramente e soltanto una gran confusione. In realtà, girando ieri nell’affollatissimo spazio alle Tese delle Vergini, si poteva constatare il piacere della gente comune immersa in un’esposizione fuori da qualsiasi logica mercantile, opera più di un «direttore d’orchestra» che non di un solista. «Agli intellettuali che dovevano scegliere ho imposto la monogamia, pur essendo io contrario», ha detto Sgarbi raccontando di come questo abbia generato delusioni o gelosie tra artisti, e aggiungendo poi, citando Antonio Lopéz García, che in Italia, contrariamente che in altri Paesi, per l’arte abbiamo «una quantità della qualità», e che proprio questa voleva rappresentare agendo come ha agito.
Tuttavia, sull’onda delle precoci polemiche, qualche artista aveva declinato la propria partecipazione. Qualcuno di questi lo ritroviamo, però, esposto. Jannis Kounellis era incerto, ma poi, per non offendere la propria collezionista di riferimento, Fendi, ora c’è. Spassoso è stato poi Sgarbi quando ha elencato pure «chi c’è, anche se si è rifiutato di esserci», come Mimmo Jodice, che aveva preso le distanze dichiarando che «l’emergenza organizzativa del Padiglione è la superficie di una emergenza intellettuale che ammorba ora l’arte italiana come il Paese per intero. Il nostro contributo a questa Biennale di Venezia si materializza nel rifiuto a parteciparvi», o come Enzo Cucchi, che poi è arrivato in treno con 40 sue opere che esporrà a Palazzo Grimani già da oggi alle 17 (nell’ambito delle iniziative speciali del Padiglione Italia per il 150º dell’Unità).

Il «direttore d’orchestra» Sgarbi ha poi elencato chi «c’è perché non c’è», come Cattelan, assente (auto)giustificato, di cui viene esposta un’intervista dove dichiarava di ritirarsi dall’attività artistica, e «chi c’è anche se non è stato visto», come Piero della Francesca. I giornalisti che hanno criticato le troppe defezioni eccellenti, infatti, non sono stati capaci di intercettarlo.

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