Politica

Ma la sicurezza non viaggia in metropolitana

Anche terroristi potrebbero intrufolarsi aprendo lucchetti e grate

Alessia Marani

da Roma

La sicurezza non viaggia in metrò. Né a Roma, nella Capitale, né a Milano, nella «City». Milioni di passeggeri ogni giorno varcano gli ingressi delle linee ferrate urbane sperando che non succeda mai quel che è accaduto nella subway londinese. Ma il sistema di sicurezza «privata» mostra falle inquietanti e presta il fianco a «incursori» nel nome di Allah. Ed ecco così che nella Città Eterna si scopre che ad aprire i lucchetti delle duecento cancellate che conducono alle 49 stazioni interrate sono centinaia di addetti di stazione, macchinisti, guardie giurate, operai delle ditte di pulizie. Idem a Milano dove l’Atm, l’Azienda dei trasporti locale ammette: «Qualche chiave è sfuggita ai controlli, finita pure nelle mani di proprietari dei bar e delle edicole». E mentre a Roma Met.Ro. corre precipitosamente ai ripari e ordina di sostituire tutte le vecchie serrature con i nuovi e più sicuri cilindri europei, nella città del Duomo viene fuori che gran parte degli addetti delle società di servizio è composta da personale di rotazione, spesso straniero e con contratti a tempo: tutta gente che può avere libero accesso ai sotterranei dei metrò. Introdursi, piazzare uno o più ordigni, a quel punto, non diventa più così impossibile. E a nulla valgono i pacchetti di sicurezza, le leggi che inaspiscono controlli ed espulsioni.
Di «spedizioni» in gallerie e depositi delle metropolitane ne sanno qualcosa gli irriducibili «writers» che, vernice spray in pugno, imperversano lungo i tracciati delle linee «A» e «B» della tube romana, imbrattando vagoni e pareti. Una «guerra» tra «artisti» metropolitani e azienda dei trasporti che ha visto a partire dal 2000 la Met.Ro. rafforzare la vigilanza esterna, piazzando anche reti di recinzione in aree fino a quel momento prive di ogni protezione. Ma i blitz continuano.
Non basta. Le cose si complicano nello scenario di un disastro. Nella tratta «A» capitolina che corre da Anagnina a Battistini, passando per la stazione Termini è in corso un piano di ristrutturazione che sarà terminato solo nel 2008. Concepita 25 anni fa per accogliere non più di 300mila viaggiatori al giorno, oggi ne carica almeno il doppio. Qui, in più punti, manca ancora completamente il sistema antincendio. E in caso d’emergenza in galleria per le migliaia di passeggeri stipati come sardine all’interno dei convogli ci sono solo camminamenti stretti e bui lungo i binari come via di fuga, persino interrotti e in cui, spesso, non passa neppure la carrozzina di un disabile. Una trappola infernale.
Il sindaco di Roma Walter Veltroni ha annunciato uno stanziamento di 13 milioni di euro per la messa in sicurezza del metrò. Soldi che serviranno soprattutto per adeguare l’impianto di videosorveglianza interna. Delle 750 telecamere attualmente funzionanti, infatti, nessuna è piazzata in galleria. Nessuna è a colori. Diventerebbe persino difficile identificare un eventuale attentatore come avvenuto, invece, in Gran Bretagna. I fondi copriranno anche l’acquisto di un nuovo software, capace di calcolare e segnalare movimenti sospetti o situazioni anomale all’interno delle stazioni. Un occhio elettronico, in sostanza, collegato a una centrale «intelligente» in grado di mettere sul chivalà gli operatori. Ma il rischio di falsi allarmi è alto. E se le minacce di Al Quaida contro la capitale del mondo e del Cristianesimo risuonano terribili («Faremo di Roma un cimitero»), il pensiero corre veloce a quei 36 chilometri di binari targati «Spqr». Qui i pompieri capitolini non hanno ancora mai messo piede per un’esercitazione in piena regola, ancora non si è trovato l’accordo per una data esatta in cui fissare le simulazioni.

Nè sulle loro partenze esiste una mappatura dell’underground: «In caso di incendio - dicono - non sapremmo nemmeno dove trovare i quadri elettrici».

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