Sipario sul musical più pazzo

Dal testo di Richard O’Brien fu tratto anche un celebre film

Ferruccio Gattuso

da Milano

Questa volta è vero. Non appena sarà salito sulla sua astronave fallica diretta verso Transsexual, pianeta di Transylvania, il meraviglioso Frank’N’Furter non si volterà più indietro e se lo farà, sarà solo per lanciare un sospiro femmineo e, chissà, far cadere un fazzoletto. Proprio come fanno le dive consumate e lui (lei?), inutile dirlo, appartiene perfettamente alla categoria. Sia per il sostantivo sia per l'aggettivo.
Il Rocky Horror Show di Richard O’Brien è giunto all’ultimo atto, dopo 32 anni di trionfi mondiali, un decennio buono di repliche teatrali milanesi e una storia internazionale che lo ha eletto a musical più popolare di tutti i tempi: quando esordì agli inizi di un’estate londinese del 1973 sul palcoscenico del Royal Court Theatre a Sloane Square, questo show rivoluzionario e irriverente divenne presto fenomeno di culto. Le repliche a quella storica prima furono duemilonovecentossessanta (2960: fino al 1980), mentre un’intera generazione di appassionati si faceva cultrice di una «messa laica». Ritualità nei gesti e nelle battute, interazione tra attori e pubblico: assistere al Rocky Horror Show ha sempre significato entrare nel cuore di una setta il cui motto - «Don’t dream it, be it», difficilmente traducibile in «Non limitarti a sognarlo, devi esserlo» - è un programma di libertà assoluta.
Ebbene si, questa volta vedere il fuoriclasse del musical Bob Simon (tra i migliori interpreti internazionali del ruolo di Frank: è lui il prescelto per l’evento) scendere dalle scale in giarrettiera bucata e zatteroni alla Elton John prima versione provocherà un groppo alla gola: la tentazione e «conversione» della coppia timorata composta dai «nerd» Brad e Janet, in fuga dal temporale e inconsapevolmente anche dal bigottismo, è giunta al capolinea. O meglio: resterà pur sempre il rito cinematografico al milanese cinema Mexico, dove i fan si recano immancabilmente provvisti di costumi a tema, giornali, pistole ad acqua, carta igienica, riso e torce elettriche, pronti a ballare il Time Warp.
Il Rocky Horror, però, è teatro, carne (tanta!), ossa, sangue e insomma profumo di palcoscenico ed è per questo che il lungo addio - al Ciak di Milano dal 3 al 13 novembre - prevede un rito nel rito: l’ingresso, i corridoi e il foyer del teatro si trasformano in un unico, grande set «transylvanico» con specchi, luci, valige, costumi allestiti dal gruppo Ante20. Non solo: l’ultima sera il Ciak si trasformerà in una sorta di colorito e tutt’altro che impettito Sotheby’s, poiché il comico Enrico Bertolino (che nel 2000 partecipò allo show in giarrettiera e tacchi alti) batterà un’asta di memorabilia.
I costumi dello show (oltre a quelli di Frank’N’Furter, i capi di Magenta, Riff Raff, Columbia, Dr. Scott e insomma tutti i protagonisti del musical), gli oggetti grandi e piccoli di questo cult-show andranno al miglior offerente e ogni euro di incasso andrà devoluto alle associazioni Save The Children e Vida. A dimostrazione che Frank’N’Furter e i suoi compagni di trasgressione saranno anche sporcaccioni, ma hanno un cuore grande così. Intanto, Richard O'Brien ha detto stop a tutte le edizioni della sua opera perché, questa l'indiscrezione, ambirebbe farne un'edizione tutta nuova: forse l'attesissimo sequel, sempre annunciato mai realizzato, dal titolo The Second Coming. Per tutto il periodo in cui resterà in cartellone, inoltre, il Rocky Horror Show destinerà ai suoi fedeli adepti un camerino dove cambiarsi e prepararsi al «rito» e persino un guardaroba al quale attingere qualora si venisse direttamente dall’ufficio.

«Il Rocky - ha sempre detto O’Brien - è la metafora di tante fiabe, da Adamo ed Eva ad Hansel e Gretel: tutte incentrate sul tema della tentazione. È per questo che lo si ama». E per citare Oscar Wilde, l’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedere a essa.

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