Sistema elettorale quello perfetto non c’è

Egregio dott. Granzotto, penso che, se intervenissero a caso un certo numero di persone, ponendo loro la domanda se conoscono la differenza tra proporzionale e maggioritario, ne salterebbero fuori delle belle. Nonostante il popolo italiano si sia già espresso una volta con un referendum, ritengo che le idee siano piuttosto confuse nella maggioranza delle persone, quindi penso sarebbe opportuno attivare un «bignamino» con le spiegazioni del caso



Un bignamista come me ci mette niente ad accontentarla, caro Trimarchi. Ma facendolo andrei a pestare nel mortaio di Giovanni Sartori, che in materia è il Pontifex Maximus e che ha carattere assai fumantino. Non ci metterebbe niente a mandarmi a quel paese esclamando «sutor, ne ultra crepidam», ciabattino (io), non andare oltre le scarpe (è all’antica, Sartori, e dunque maneggia il latino come meglio non si potrebbe), a dire che non ho capito un’acca, che sono un grullo, eccetera. Però è anche vero che se i sistemi elettorali sono giocattoli per i politici, ad esserne i destinatari siamo noi popolo sovrano ed elettore. Oltre tutto sulle cucuzze della società politica pende la spada di Damocle di un referendum e se non s’inventano qualcosa saremo chiamati ad esprimerci proprio su una legge elettorale. Quindi, meglio vederci chiaro. Il sistema più diretto e intuitivo è il maggioritario: singoli candidati si presentano in un unico collegio e si porta a casa il seggio colui il quale ha ottenuto il maggior numero di voti. E ciò o alla prima botta o in un successivo ballottaggio, ovvero disfida fra i più votati. Le varianti del maggioritario sono poche e di facile comprendonio: può variare la collocazione dell’asticella della «prima botta», posta all’altezza della maggioranza relativa (un voto in più del secondo classificato) o a quella della maggioranza assoluta (il 50 per cento dei voti emessi più uno). O il numero dei partecipanti alla seconda botta, il ballottaggio: solo i due candidati che abbiano ricevuto più voti («turno chiuso») o l’insieme dei candidati in lizza nel primo dei turni («turno aperto»).
Ciò che caratterizza il sistema elettorale proporzionale, o di lista, è invece la macchinosità. I seggi vengono infatti assegnati in più o meno ampie circoscrizioni elettorali e suddivisi in base alle percentuali di voti ottenuti dalle varie liste. Due le tecniche: quella del quoziente e quella dei divisori. Il quoziente elettorale è in pratica il costo, in voti, di un seggio e per calcolarlo si ricorre a delle formule sperimentate e una più complicata dell’altra. Per cui, lasciamo perdere. Nella seconda delle tecniche si dividono invece i voti dei vari candidati per un coefficiente fisso e si assegnano i seggi in base ai risultati fino ad esaurimento dei seggi medesimi. Col sistema proporzionale all'elettore è concessa o negata l’opportunità di dare la preferenza (nel secondo dei casi si parla di «liste bloccate»). Inoltre, per scoraggiare il formarsi di partitini e partituncoli può esser posta una soglia di esclusione (sotto una data percentuale di voti ottenuti, mettiamo il 4 o 5 per cento, si è esclusi dalla assegnazione dei seggi).

Storicamente parlando il maggioritario, nato nel Settecento, ha più tradizione del proporzionale, introdotto solo nei primi anni del Novecento. In quanto ai pro e ai contro, tanti ne ha l’uno, tanti l’altro perché il sistema elettorale perfetto, buono per tutti e per tutte le stagioni, non è stato ancora inventato.
Paolo Granzotto

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