da Roma
Curioso. Nella Festa dove non si fischia neppure l'invedibile Concilio di pietra, a sorpresa piove qualche «buuu!» su A casa nostra di Francesca Comencini. È successo ieri al termine dell'anteprima per la stampa. A Venezia capita spesso, ne sa qualcosa Michele Placido. Qui no, piace tutto. Sicché la piccola contestazione s'è subito mutata in «caso». Con effetti pure ridicoli. Una cronista, forse mal scegliendo la parola, ha addirittura chiesto alla regista di fare «autocritica». In sala c'è chi ha reagito, evocando «antiche pratiche staliniste», e a quel punto la faccenda è un po' degenerata. Spazientita, la Comencini ha replicato così: «Ogni parere è lecito. Anche i fischi lo sono. Nondimeno, ritengo di aver fatto un buon film. Perché mai dovrei fare autocritica?».
Erano in molti a rappresentare il film: i protagonisti Luca Zingaretti e Valeria Golino, l'emergente Laura Chiatti (non più bionda), Luca Argentero, Teco Celio, Fabio Ghidoni, lo sceneggiatore Franco Bernini, i produttori Donatela Botti e Carlo Macchitella, e naturalmente la regista. La quale, dopo il piccolo Mobbing. Mi piace lavorare, ha potuto contare su una confezione più ricca, professionale. Come sapete, il film intreccia una decina di storie nella Milano di oggi, unite dal tema del denaro. «Ho scelto Milano perché lì si trovano i centri finanziari, le grandi banche, la Borsa. E anche perché una città bella, poco frequentata al cinema, un po' misteriosa», spiega la Comencini. Insomma, Milano come «un paradigma italiano», come contenitore ideale per raccontare l'ossessione dei soldi: «Soldi per comprare potere e corpi femminili, ma anche del buon Barolo o pagare le tasse», sottolinea Bernini.
Certo lo sguardo è pessimista, ancorché non disperato. Il titolo viene da una battuta cruciale che la finanziera urla in faccia al banchiere: «Pensate di fare quel che vi pare. Ma questo paese è anche casa nostra». L'attrice confessa di aver riflettuto su quella frase: «Temevo che suonasse retorica, mi auguro invece risulti catartica». Zingaretti, non nuovo a parti da «cattivo», dice di essersi trovato bene: «Ugo agisce senza coscienza del male. È spietato nella sua voracità, ma anche scosso da improvvise fragilità. Cerco di non avere atteggiamenti etico-morali nei confronti dei personaggi che interpreto». Aggiunge la regista, che s'è valsa della consulenza di Gianni Barbacetto sul versante dei dettagli giudiziari legati a intercettazioni e scalate. «Di reale c'è tutto, a chiave o di realistico non c'è nulla. Insomma non ci siamo ispirati a casi veri, ai furbetti del quartierino. Vorrei comprendere, prima di schierarmi. E però penso che questo paese, negli ultimi anni, abbia davvero cambiato faccia.
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