La stampa, addetti ai lavori e presto i visitatori sono accolti da un cumulo di immondizia. È una provocazione artistica o l'ultima idea rivoluzionaria dell'architettura? Ci sarà molto da discutere su questa installazione del polacco Hugon Kowalski, giovane nato nel 1987, con cui il direttore Alejandro Aravena ha deciso di aprire sabato 28 la Biennale di architettura. L'enorme distesa di rifiuti, peraltro, è stata presa da ciò che è rimasto della mostra d'arte del 2015, che già aveva avuto un spiccato ruolo sociale e politico anche a discapito delle opere. Coincidenza peraltro sfortunata, questa dell'estetica della distruzione, negli stessi giorni in cui l'Italia viene flagellata dall'ennesimo disastro per incuria a Firenze, una delle capitali del bello più per i turisti che per i cittadini. È giusto però che l'architettura tratti temi urgenti e non presenti soltanto le imprese utopistiche delle star, che per una volta sono tenute fuori dalla rassegna lagunare, a eccezione del dovuto e sentito omaggio a Zaha Hadid, allestito nel Palazzo Franchetti. Reporting from the front, questo il titolo della XV Biennale, incentra buona parte della propria attenzione nell'affrontare temi caldi, come risolvere il problema minimo dell'abitazione per persone povere, che vivono nel Terzo Mondo o in zone disagiate del pianeta. Una visione decisamente politica per cui è stato scelto Aravena. Nato a Santiago del Cile nel 1967, peraltro molto più giovane dei grandi maestri cui sono state affidate le edizioni precedenti, proprio quest'anno ha vinto il Pritzker Prize e il suo lavoro attualmente si sta qualificando per il progetto Elementar SA, un'organizzazione pensata a fini sociali nella proposta di progetti di infrastrutture, spazi pubblici e soprattutto alloggi a basso costo, customizzabili per le esigenze di chi li abita, come cuocere del cibo o farsi la doccia. Una versione molto più umana insomma delle alienanti case popolari.
Non si tratta, però, nella sua visione, di esaltare il brutto. Aravena pensa che dallo scarto possa nascere un bene prezioso proprio attraverso la trasformazione che l'uomo, essere pensante, può farne. Ha spiegato il presidente della Biennale Paolo Baratta: «Bastano quattro gradini per quello sforzo minimo intellettuale, individuale e come società, quella presa di coscienza che ora è necessaria per inserire maggior qualità sui nostri territori, attraverso una maggiore libertà. Perché quello che si deve fare, oggi si può fare in maniera diversa e le poche risorse possono aiutare a risvegliare le intelligenze». Forse ha ragione, ma resta il fatto che un'installazione di macerie punta sulla provocazione: sempre più l'architettura si avvicina all'arte, anche nella scelta dei materiali e del modo di essere effimera.
Ben 65 le partecipazioni nazionali, e per la prima volta 5 nuove nazioni: Filippine, Lituania, Nigeria, Seychelles e Yemen. Niente narcisismo, insomma, ma solo sostanza, persino un big assoluto come Renzo Piano spiega che c'è un ritorno all'architettura civile, «un'arte di frontiera che ha a che fare con il sociale». Tra gli eventi che stanno animando i giorni dell'inaugurazione Rolex, partner esclusivo della mostra, organizza una serie di incontri che hanno per protagonisti grandi maestri quali David Chipperfield, Peter Zumthor e Gloria Cabral, un progetto di natura filantropica per sostenere le nuove generazioni di creativi.
Oggi pomeriggio, proprio Zumthor e Cabral discuteranno alla Lounge Rolex in Arsenale del Tea Chapel costruito nella Corea del Sud. Mondi nuovi, che l'architettura va scoprendo nel tentativo di mettere in atto il definitivo processo di globalizzazione, pur tra contraddizioni e conflitti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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