"Adoro il mio Guglielmo-Sherlock: è la cultura che protegge dal potere"

L'attore italoamericano ha lavorato 4 mesi per ottenere l'accento inglese e recitare nel ruolo che fu di Connery: «Non ho mai visto l'originale»

"Adoro il mio Guglielmo-Sherlock: è la cultura che protegge dal potere"

«Happy Birthday Mr. Turturro!». Lui ringrazia, con un sorriso appena accennato nel suo tipico understatement, il sottoscritto che si è ricordato che proprio ieri l'attore italoamericano compiva 62 anni tondi tondi. E via con gli applausi nella romana sala degli arazzi della Rai dove si sta presentando Il nome della rosa alla stampa. Madre siciliana, padre pugliese, cittadinanza italiana, John Turturro, 100 film alle spalle tra cui il bellissimo Gloria Bell di Sebastian Lelio in uscita il 7 marzo, catalizza completamente l'attenzione dello spettatore nella pur corale serie tv. Merito di una recitazione (nella versione originale con un perfetto accento inglese frutto di 4 mesi di preparazione) che lavora in sottrazione per restituire la profondità del protagonista disegnato da Umberto Eco e che nel film di Jean-Jacques Annaud di 33 anni fa era interpretato da Sean Connery.

Iniziamo proprio da qui.

«Guardi la verità è che non ho mai visto il film originale anche se amo Sean Connery. Anzi forse proprio per questo, da piccolo avevo un pupazzo che lo raffigurava nei panni di James Bond e ho pensato che fosse meglio ricordarlo così».

Il libro di Eco invece l'aveva già letto?

«Macché, avevo letto Il cimitero di Praga e solo dopo che ho ricevuto la proposta del progetto di questa serie tv mi sono messo a leggerlo».

E deve esserle piaciuto dal momento che la troviamo anche tra gli sceneggiatori.

«Posso dire di averlo letto e riletto e riletto... L'ho così amato che la mia priorità, insieme agli altri sceneggiatori, è stata proprio quella di inserire quanto più Eco, quante più parti del libro fosse possibile in queste 8 ore di film. Sottolineando soprattutto il modo in cui il mio personaggio scopre le cose, toccando aspetti filosofici, religiosi e scientifici».

Nell'interpretare questo ruolo, da detective con il saio francescano, si è un po' sentito come Sherlock Holmes?

«Beh ci aveva già pensato Umberto Eco, dal momento che il mio personaggio di nome fa Guglielmo e di cognome da Baskerville come uno dei romanzi di Conan Doyle».

E che cosa dice al pubblico di oggi una storia ambientata nel 1327?

«Adoro il processo mentale del mio personaggio con il sapere e la conoscenza come protezione contro il potere. Il libro è proprio ancorato ai tempi moderni perché racconta, con elementi assolutamente attuali, esperienze di grande cospirazione. Insomma la questione finale e fondamentale è: Gli uomini riescono a stare insieme senza finire nei guai?».

Immagino sia una domanda retorica... quindi viviamo in un eterno medioevo?

«Secondo lei l'abbiamo mai veramente lasciato? Rispetto a ieri credo che ci sia solo una differenza fondamentale, l'avvento della tecnologia. Per il resto quotidianamente leggo di scandali della Chiesa, di celibato. Che è un problema estremamente attuale. Studiando quell'epoca ho scoperto che appena duecento anni prima i preti potevano sposarsi».

Che cosa le è rimasto di questo personaggio?

«Mi ha lasciato esausto. È stata un'esperienza fantastica con un cast di grandissimo valore con il quale a volte sembrava non di stare lavorando ma di trascorrere del bel tempo insieme. Però sono rimasto con un cruccio micidiale».

Ah sì, quale?

«Quello che Guglielmo da Baskerville scopre alla fine, quando dice che credeva che nel mondo esistesse un ordine e invece c'è solo il nostro tentativo di raggiungere un ordine.

Io e lei ora siamo qui in una biblioteca (quella storica della sede Rai, ndr) e tutti i libri sono in ordine. Là fuori invece più indaghi, più impari e più scopri di non sapere. Così tutti noi siamo spinti a seguire quelli che dicono di sapere. Ma in realtà non sanno niente...».

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