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La bacchettata

Quando le cose in un'esecuzione non girano come devono, il responsabile primo, cioè il direttore d'orchestra, può invocare l'attenuante della scarsità di prove. Con un cartellone ricco e affollato come quello della Scala (sempre più simile a un teatro di repertorio) non è infrequente sentire questa motivazione dopo i rilievi critici per un'esecuzione superficiale o trascurata. Questo deve essere tenuto presente anche quando un interprete di categoria superiore attenua o annulla il pesante handicap della ristrettezza di prove. Al voto finale va aggiunto un coefficiente maggiore di difficoltà, come per la carpiatura e i salti mortali nei tuffi. Così è successo alla Scala con la ripresa del Fidelio di Beethoven, nell'efficace (se non fascinoso) allestimento contemporaneizzato di Deborah Warner, affidato alle mani di Myung-Whun Chung. Esecuzione di classe che ha asciugato quanto di greve la memoria ricordava alla comparsa inaugurale di questo spettacolo; che ha insufflato energia e varietà dinamica quanto più ha potuto; che ha ben guidato un cast di calibri leggeri, omogeneo e senza punte (il più giustamente festeggiato è stato l'ottimo basso Stephen Milling), meritandosi un successo personale finale.

Particolarmente toccante è stato ascoltare l'unicum di Beethoven che canta la pietà per i carcerati e per gli oppressi dall'ingiustizia, dietro alla Senatrice a vita, Liliana Segre. La serata ricordava gli ottanta anni dalla promulgazione delle leggi razziali, con una dedica a Vittore Veneziani, storico maestro del coro scaligero, deposto in quella vile e disumana circostanza.

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