Il direttore d'orchestra Riccardo Chailly è in Engadina per un pit stop. Terminato il tour cinese alla testa dell'Orchestra di Lucerna, si prepara per l'inaugurazione - lunedì 4 novembre - della stagione della Filarmonica della Scala. Ma già guarda a Tosca di Puccini: l'opera d'apertura (7 dicembre) della stagione della Scala, il teatro di cui è direttore musicale. L'anno scorso, un titolo non proprio pop come Attila fu un successo anche mediatico: in piena Coppa del mondo di sci, il telecronista paragonava il campionissimo Hirscher ad Attila. A che punto siete con i lavori per la Prima?
«Mi sono incontrato tante volte con Davide Livermore. È un regista che ama l'imprevedibile, vediamo cosa ci riserverà. Sappiamo cosa rappresenta Tosca, quanto sia amata dal pubblico, anche se curiosamente è la prima volta che inaugura la stagione della Scala».
Tra l'altro in una versione mai sentita...
«Conosciuta solo dagli spettatori romani della prima assoluta, nel 1900. Ho raccomandato alla protagonista Anna Netrebko di studiarsi le parti nuove».
Con Netrebko si va sul sicuro
«È una delle più grandi Tosca al mondo. Professionista seria, studiosa. Abbiamo lavorato molto bene anche nelle altre due inaugurazioni».
Sarà Direttore musicale della Scala fino al 2022. Ma il futuro sovrintendente Dominique Meyer si augura che Lei prolunghi. Ci sta pensando?
«Con Meyer ho avuto un primo incontro molto cordiale, abbiamo condiviso idee e progetti. C'è stata molta reciprocità. Col tempo bisogna vedere se da questo incontro ne nasceranno altri. La cosa che più conta è l'assonanza artistica. A me interessa la qualità della collaborazione, desidero che ci sia una squadra di lavoro coesa, che si condividano idee artistiche. Che è poi lo spirito che mi affascina del Festival di Lucerna. Dobbiamo aspettare e vedere».
Meyer apprezza il fatto che Lei sia «aperto verso tutti» e «non occupa tutti gli spazi». Cosa risponde a chi vorrebbe vederla dirigere più appuntamenti scaligeri?
«Ognuno gestisce la responsabilità di direttore musicale a modo suo. Un direttore deve assicurare una qualità costante di lavoro con l'orchestra, ma la sua presenza non deve essere straripante. Per un complesso musicale è determinante potersi misurare anche con altri interpreti, punti rivista e repertori».
Oggi più che mai
«Perché le cose sono cambiate negli ultimi anni. È importante che ci sia questo spazio. Messo piede alla Scala, chiarii subito che avrei diretto non più di due titoli d'opera all'anno. Il mio è un doppio incarico essendo anche direttore principale della Filarmonica: un progetto indipendente e che comporta concerti alla Scala, tournée e incisioni. In tutto sono cinque mesi d'attività all'anno, una presenza maggiore sarebbe angosciosa e tediosa».
Lunedì 4 novembre inaugura la stagione della Filarmonica con la Seconda e la Terza Sinfonia di Beethoven. Quale è stato l'impulso alla storia della musica di questo compositore?
«Costituisce un passaggio epocale e imprescindibile anzitutto nel mondo sinfonico. Raccoglie la lezione di Haydn e Mozart, la porta avanti e con la Nona dimostra che la Sinfonia non è più solo strumentale ma anche vocale aprendo un nuovo percorso».
È appena rientrato dalla Cina, la nuova frontiera per voi musicisti. Che dire del pubblico?
«Sono stato per la prima volta in Cina nel 1996 con l'Orchestra del Concertgebouw. Era la seconda orchestra internazionale, dopo quella di Philadelphia, a visitare Pechino. Ricordo la Grande Sala del Popolo, le difficoltà a comunicare pur con la mediazione di interpreti. È un Paese irriconoscibile rispetto ad allora. Il pubblico è giovane, entusiasta, alla fine del concerto urla, batte i piedi, fischia. C'è un'atmosfera da stadio, un clima frenetico».
che immagino elettrizzi chi sta sul palcoscenico.
«La grandezza della musica rinnova ogni volta l'energia interiore. Se poi uno ha l'età per esternare queste energia, allora si crea un rapporto epidermico fra esecutori e ascoltatori. Al termine del concerto di Pechino, sono dovuto rimanere un'ora e un quarto per la firma dei cd. Le persone erano informatissime sulle ultime e passate incisioni».
E cosa
rappresenta il concerto?«È il momento della gioia liberatoria. Si porta alla luce un percorso faticoso. Quando provo, vivo crucci profondi, preoccupazioni. La sera del concerto ti liberi da quel tipo di pensiero».
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