Cultura e Spettacoli

Cannes e Venezia non si arrendono

I grandi festival del cinema snobbano il digitale e provano a resistere

Cannes e Venezia non si arrendono

Fibrilla, ma non molla la filiera cinematografica, bastonata a morte dal Coronavirus. Tra set chiusi, uscite dei film rimandate e blockbuster bloccati a data da definirsi, i guadagni sono ridotti a zero. Ma intanto il festival di Cannes e quello di Venezia, baluardi della cinefilia globale, resistono strenuamente. E non si arrendono alla cultura del sofà e della piattaforma, continuando a sostenere la cultura dell'uscita per recarsi al cinema, a teatro, al museo. Perché qua non si tratta soltanto d'indicare agli amanti della Settima Arte il cammino delle sale oscure, bensì di far marciare un indotto potente, con ricadute su innumerevoli comparti, quello turistico in prima fila. Macron ha annunciato che il lockdown durerà fino all'11 maggio, senza specificare quando le sale potranno riaprire, ma festival e appuntamenti pubblici sono ancora vietati fino a luglio. Intanto da Parigi l'amministratore delegato del festival di Cannes, Thierry Frémaux, ha fatto rullare i tamburi servendosi del palco di Variety. «Che cos'è un festival digitale? Dovremmo cominciare chiedendo ai titolari dei diritti se sono d'accordo. Per Cannes, la sua anima, la sua storia, la sua efficienza, è un modello che non funzionerebbe. I registi dei film sono guidati dall'idea di mostrare le loro opere su un grande schermo e condividerli con altri in eventi come un festival, non per far finire i loro lavori su un iPhone». Capito, idolatri dello streaming?

Nel frattempo, la squadra cannense, pronta a selezionare soltanto film da mostrare in sala, via comunicato manda a dire che la 73esima kermesse sulla Croisette si terrà, tra fine giugno e inizio luglio. Ma le probabilità sono davvero pochissime. E se Cannes suona la tromba contro il festival digitale, buono per i festivalini minori, a base di corti e documentari, Venezia naviga a vista, certa di un approdo a settembre, a pandemia smosciata. «Sto lavorando più di prima, tra mail, visioni di film da selezionare su schermi a 60 pollici e contatti frenetici. E sono d'accordo con Frémaux: un festival con un grande mercato non può permettersi di andare online», scandisce da Milano Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia. «L'evento di Venezia non si regge soltanto sulle anteprime, ma anche sugli incontri con gli autori e sulle passerelle: vedo impraticabile la via dello streaming. Sto selezionando anche film proposti a Cannes, ma bisognerà aspettare. E se la Mostra non si terrà a settembre, magari per la recrudescenza del virus, ci metteremo l'animo in pace. Se ci fossero limitazioni, poi, che senso avrebbe fare il festival, con un terzo della sala piena? Gli autori hanno tempo fino al 20 luglio per mostrare i loro film: quasi tutti hanno provveduto al montaggio; manca il mixaggio, perché i laboratori sono chiusi. Sono speranzoso, però.

Il governatore Zaia è tosto e le ricadute del festival, tra alberghi, ristoranti e viaggi, sono importanti», conclude Barbera, deciso a non cancellare lo spirito del festival.

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