il commento 2 Un fantasma di eros che non trova pace

di Giuseppe Conte
Come passa veloce mezzo secolo! Ricordo come se fosse ieri dove e quando mi arrivò la notizia della morte di Marilyn: ero a Milano, alla Stazione Centrale, in attesa del treno per il mio primo viaggio in Inghilterra, ero un adolescente ed ero innamorato della bionda, burrosa, candida, infelice diva americana. Ma io ero andato più in là: per anni avevo parlato con Marilyn ogni notte, avevo rivissuto le scene dei suoi film, avevo immaginato, con la presunzione feroce dell'adolescenza, che avrei saputo amarla molto meglio di Joe Di Maggio, di Arthur Miller e di chiunque altro. Fu naturale che la notizia della sua fine drammatica mi colpisse tanto. Come fu naturale che, viaggiando finalmente attraverso l'Inghilterra, avendo le mie prime avventure con le ragazze nella realtà, la dimenticassi così in fretta. Ma, con il senno di poi, mi accorgo di non essermi mai sottratto del tutto alla fascinazione di Marilyn, perché aveva qualcosa di simile alla fascinazione della poesia e dei romanzi, che domina la mia vita. Marilyn la ritrovo ora, personaggio e icona della mitologia contemporanea, nelle pagine dei libri e degli scrittori che amo. Tra tutti, Truman Capote le dedicò un ritratto indimenticabile in Musica per Camaleonti. Racconta un incontro con lei a New York nel 1955, al funerale di Constance Collier, dove la «bomba sessuale al platino di fama universale» arriva vestita di nero e senza trucco come una madre badessa, o una bambina di dodici anni, e sfodera tutte le sue insicurezze e i suoi capricci. Arguta e infantile, dolce e sboccata, commenta le prodezze di Errol Flynn capace di suonare un pezzo al pianoforte battendo il sesso eretto sulla tastiera, e all'intervistatore che cita per scherzo la regina Elisabetta, ribatte, lei che era stata Norma Jean Baker, l'orfana povera, sbandata, violata: «Ma che c'entro io con quella stronza?». Per Norman Mailer, Marilyn rappresenta la relazione amorosa di ogni uomo con l'America, e la promessa universale di un sesso libero, facile, felice. Tanto Capote è acuminato e brillante, tanto Mailer deborda, esagera, si impanca in descrizioni della contraddittorietà di Marilyn e scivola nei più truci pettegolezzi su di lei, ma con una verve generosa e meravigliosa. «Ciclone ambulante di bellezza», «gigantessa e pigmea emotiva», Marilyn finisce per sposare Arthur Miller, ancora uno scrittore, l'unico drammaturgo americano importante in quel periodo che non fosse omosessuale, maligna Mailer. Ma neppure Miller la salverà. Nel suo discorso funebre, Lee Strasberg dirà: «Aveva qualcosa di luminoso - una combinazione di pensosità, radiosità, struggimento...». Mailer è d'accordo. La saluta nell'Aldilà chiedendole di strizzare l'occhio a Bobby e a Jack, e soprattutto di cercare Mr. Dickens, che adorerà di certo quella povera bellissima bambina senza padre.

Mesi fa, a Westwood, Los Angeles, di fronte alla proposta di visitare al cimitero la tomba di Marilyn, lì vicino, trovai un pretesto per non andarci, e restare a farmi coccolare dalle anonime cameriere in minigonna del mio albergo. Ora mi è chiaro il perché: Marilyn, per me, è ancora un fantasma di eros e di vita. E si sa, i fantasmi non hanno sepoltura.

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