Figaro, pardon, Elio di qua, Elio di là, bravo bravissssssimo. Ricordate la versione delirante del Largo al factotum di Gioachino Rossini fatta da Elio e le Storie Tese (EllST) al Festival di Sanremo? Intrigante, poi, il trucco e parrucco settecentesco: tanto per calarsi meglio nel ruolo. Quest'aria del vulcanico Barbiere di Siviglia, Figaro appunto, è uno dei brani più pop della lirica, effervescenza allo stato pura: dunque congeniale all'altrettanto vulcanico Elio. Che tornerà a cantarla, a modo suo, s'intende, stasera al Festival di Cernobbio. L'appuntamento è a Villa Erba (ore 21.30), con Roberto Prosseda al pianoforte e la cantante (lirica) Sarah Tisba. Elio che fa il baritono, magari con tanto di frack o smoking? E canta Rossini, ma anche Mozart e il contemporaneo Lombardi? A dire il vero, la cosa non è poi così insolita per questo factotum dello spettacolo. Le escursioni di Elio nel mondo dorato della classica poggiano su un diploma di flauto conseguito al Conservatorio di Milano: l'istituzione che bocciò Giuseppe Verdi, tanto per intenderci. Stefano Belisari, in arte Elio, è già stato alla Scala con i solisti dell'Orchestra, a Pesaro per il Festival rossiniano, ha fatto il contro-prima della Scala: cantando e parodiando arie del Don Giovanni di Mozart, in anticipo sull'opera poi in scena il 7 dicembre. Ironici, pungenti, irriverenti, gli EelST da due anni stanno portando in giro un loro personalissimo Barbiere rossiniano.
Periodicamente lei finisce per occuparsi di classica. Perché? «Ormai da parecchi anni ho capito che la classica prima di essere musica classica è musica bella. Nella mia vita ho sempre voluto cercare cose belle. E se pensi che Rossini e Mozart sono amati da secoli forse è perché hanno qualcosa di strepitoso da dire: sempre».
E allora perché la classica e la lirica faticano ad arrivare a tutti?
«Negli anni si è voluto creare un muro tra il largo pubblico, che è poi il 99% del pubblico, e gli appassionati di lirica che si sentono una razza eletta e protetta. Anche i compositori contemporanei si sono chiusi in una torre d'avorio. Ora mi sembra si stia correndo ai ripari. Stiamo a vedere».
Invitare Vasco Rossi in un teatro lirico, come ha fatto la Scala, è un metodo per correre ai ripari?
«Sicuramente così si coinvolge anche il grande pubblico. Evviva. Io stesso sono stato alla Scala e, se mi reinvitassero, ci tornerei volentieri. La Scala ultimamente era un po' diventata un museo. Va bene fino a un certo punto perché, effettivamente, qui si sono verificati fatti storici. Ma prima di tutto, la Scala è il teatro della città, e deve fare qualcosa per avvicinare i cittadini».
Questa chiusura al grande pubblico è un problema che tocca l'intero sistema dei teatri italiani?
«Sì, è generale. Anche se al Regio di Parma, con Luisa Miller, ho avvertito veramente cosa sia la lirica: applausi, fischi, reazioni da stadio, brividi, vita insomma, non una passerella-vetrina come capita talvolta. Il teatro d'opera italiano deve percorrere una strada che è quella che ho imboccato io, da solo, per avvicinare il pubblico».
Elio il salvatore della patria dell'opera?
«Mi sento auto investito del ruolo di ambasciatore, boh, o specchietto per le allodole. Ho visto che un professionista del settore canta meglio di me, ovvio, però io riesco ad attrarre più gente. E allora mi auguro che questa gente, poi, finisca per frequentare anche i teatri e i professionisti del settore».
Crede nel crossover? Per dire, nella versione rockettara di Beethoven?
«No, quello no. Non mi piace chi propone versioni diverse di un qualcosa che funziona benissimo così».
Ma lei, alla fine, dove si trova più a suo agio: nel rock, pop, classica?
«Sono un appassionato di ciò che dia sensazioni belle.
Aria lirica prediletta?
«Lucean le stelle dalla Tosca di Puccini».
E il cantante lirico prediletto?
«Il tenore argentino Alvarez. E ovviamente il nostro Luciano Pavarotti: era unico».
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