Abbiamo ascoltato suonare Costanza Savarese al Concertgebouw di Amsterdam, nello scorso aprile, con la Amsterdam Chamber Orchestra diretta da Peter Santa. Una meraviglia di emozione e di programma. Calibri di suono e rapporti praticamente perfetti. Anzi, considerando la chitarra classica per quel che è, val a dire uno strumento debole rispetto alla forza d'una massa di orchestrali, ciò che più colpisce è proprio la chiarezza della dizione di canto e di fraseggio della Savarese: un modo di suonare esplicativo di come la padronanza tecnica non basti di per sé a fare grandi i musicisti. I tre bellissimi Concerti di Vivaldi in programma in Olanda (RV 82, 93 e 425) hanno dimostrato come l'orecchio dimentichi le loro asperità strumentali e vada solo dove lo porta il cuore dell'interprete. La qual cosa, oggi, è molto rara in questo aristocratico equilibrio. Aveva ragione Nazzareno Carusi, suo insegnante e mentore, quando scrisse che dietro il trionfo di questa chitarrista romana, allora ventiseienne, bellissima, interprete di un recital al 75° Maggio Musicale Fiorentino «ci sono il talento sì, ovvio, ma la determinazione, l'istinto per la novità, pensiero e studio i più profondi, la capacità di scelta dei collaboratori, quell'amore del rischio che ti fa rifiutare i compromessi con le mezzeseghe ai posti di comando e tanta, tanta voglia di palcoscenico e di gioco, senza timori ma sempre con lo sguardo umile però, pronto ad accettare ogni giudizio. Già questo è spettacolo di sé».
Quello di Firenze era uno spettacolo dedicato a Vespucci, da un'idea di Costanza e del suo compagno Andrea Oliva, primo flauto dell'Orchestra di Santa Cecilia, con Alessio Boni, il GlobEnsemble, i testi di Alessandro Zambrini e le «musiche originali (molto più belle ed espressive delle trascrizioni che le intersecano, ma qui credo si tratti di mancanza d'esperienza) di Furio Valitutti, un giovanotto con le carte tutte a posto per un futuro di successo.
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