Don Winslow racconta gli Usa visti dal confine

Don Winslow racconta gli Usa visti dal confine

Oltre tremila chilometri di confine tra Messico, da una parte, e California, Arizona, New Mexico e Texas, dall'altra. È questo il border, il limite fisico che tanto fa discutere, praticamente da quando esistono gli Usa. Il confine come spartiacque tra noi e voi, come metafora dello stato del mondo, come linea divisoria. In effetti, gli Stati Uniti oggi sono un Paese diviso come forse non lo sono mai stati. La popolarità del loro presidente, per contro, è incrollabile tra i suoi sostenitori così come la fiducia degli americani nei valori fondanti della Costituzione che metà della popolazione vede incarnati in Donald Trump e l'altra metà considera traditi alla radice dalle scelte della Casa Bianca. Una dei mantra di Trump è il completamento di un muro lungo quel confine. Il muro non c'è e, forse, non ci sarà mai, come sostiene il giornalista inglese Tim Marshall nel lucido saggio I muri che dividono il mondo. Ma, a suo dire, Trump il muro nelle coscienze degli americani e del mondo lo ha già eretto con successo. D'altro canto, quel confine su cui intende costruirlo è un'entità quasi sovrannaturale che richiama nelle menti degli americani l'ancestrale paura di essere colonizzati da un popolo di mezzosangue di lingua spagnola, per giunta cattolici, ovvero papisti per la propaganda evangelica. Quel confine, allo stesso tempo, rappresenta un sogno di spiagge dorate, di siesta e fiesta e orchestre mariachi, un mondo di vagheggiata libertà e spiritualità. E, naturalmente, proietta l'ombra incombente di un aumento esponenziale della criminalità.

Ed è di quest'ultimo timore, soprattutto, che si occupa la nuova monumentale fatica letteraria di Don Winslow, uno degli autori di thriller più venduti e più capaci degli ultimi decenni. Il confine (Einaudi, traduzione di Alfredo Colitto, pagg 922, euro 22) è l'ultimo atto di una trilogia apertasi con Il potere del cane, forse il romanzo di maggior successo dello scrittore americano. Protagonista assoluto è, ancora una volta, Art Keller, ora a capo della DEA, che si trova a fare nuovamente i conti con le violenze dei cartelli messicani della droga che spadroneggiano lungo il confine e che sono costantemente in guerra tra loro, oltre che con la polizia messicana e quella statunitense.

Forte di una scrittura asciutta e di dialoghi incalzanti, in un susseguirsi mozzafiato di scene d'azione e momenti di riflessione sociale, Il confine conferma, se ce ne fosse stato bisogno, la forza narrativa di Winslow, riuscendo a fornirci una chiave di lettura interessante della corruzione della politica, delle connivenze tra potere ufficiale e malavita e della contiguità di certi poliziotti con i criminali che dovrebbero mettere sotto

chiave e a cui, talvolta, facilitano i traffici illeciti. Il confine è pure uno spaccato culturale di una terra in cui bene e male sono sempre più sfumati, quasi come inglese e spagnolo, che ormai se la giocano ad armi pari.

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