Ecco il "Mozart choc", le bandiere nere dell'Isis sventolano sul palco

Iponenti misure di sicurezza per "Il ratto dal serraglio" in chiave contemporanea

Ecco il "Mozart choc", le bandiere nere dell'Isis sventolano sul palco

E l'ombra lunga delle bandiere nere dell'Isis alla fine calò sul Comunale di Bologna. Nel primo atto il servo di Belmonte, Pedrillo, viene sepolto nella sabbia (vera sulla scena) del deserto. Poi i due uomini con le loro donne, Konstanze e Blonde, rapiti dai giannizzeri in versione jihadista, vengono minacciati coi coltelli alla gola dai guerriglieri, «neri dervisci della morte», mentre sventolano dietro di loro le lugubri bandiere diventate anche per noi tristi icone mediatiche del fondamentalismo islamico. E un guerrigliero filma tutto con una vecchia macchina da presa. Mozart ai tempi dell'Isis.
La prima del Ratto dal Serraglio ha evitato lo sciopero dei sindacati, rientrato in extremis, ma non le polemiche che hanno investito nei giorni scorsi l'allestimento moderno in chiave «islamista» dell'opera. Come non ha evitato, ieri sera, dentro e fuori il teatro, una certa inquietudine degli spettatori, l'allerta della Prefettura (tanti carabinieri e poliziotti mobilitati con cani e artificieri), i malumori di qualche politico, la curiosità morbosa della città. Paura all'opera.
L'opera che ieri ha aperto la stagione del Teatro Comunale di Bologna è Il ratto dal serraglio di Mozart, nella versione, riveduta e (s)corretta, del regista austriaco Martin Kusej, il quale ha accantonato facili «turcherie» e esotismi da cartolina, calcando invece la mano sull'attualizzazione del testo: via anticaglie buffe, nobili ottomani e scimitarre di cartapesta, dentro pistole e fucili, sgozzamenti e riferimenti diretti allo jihadista stragista. La brutale realtà dell'oggi spazza via la leggerezza del Singspiel mozartiano.
Il primo allarme della baruffa in arrivo l'aveva lanciato, giorni fa, il consigliere comunale di Bologna Manes Bernardini, transfuga della Lega, oggi candidato sindaco, pubblicando su Facebook una foto rubata da dietro le quinte, durante le prove del Ratto, che mostra un gruppo di guerriglieri con pugnali sguainati e bandiere nere... E l'opera di Bologna raro evento in cui la lirica fa notizia - è diventata un caso nazionale.
Ecco perché ieri, per la Prima, fuori dal teatro e dentro il foyer, il Comunale ha visto per la prima volta della sua storia (a Milano, alla Scala, si vede da due stagioni) misure di sicurezza massime, controlli, bonifiche e metal detector. Intanto i loggionisti entravano armati di fischietti... non si sa mai. Leggere a teatro la contemporaneità ha i suoi rischi. E infatti, quando lo spettacolo andò in scena nel 2015 al festival di Aix-en-Provence, i riferimenti all'attualità, per tenere basse le polemiche dopo l'attentato a Charlie Hebdo, non erano così espliciti. Qui a Bologna invece il regista Martin Kusej ha voluto osare di più, con riferimenti diretti alle atrocità contemporanee del terrorismo islamico. E così Il ratto va in scena con le modifiche al libretto del tedesco Albert Ostermaier, il quale ha riscritto i dialoghi recitati (il cantato resta immutato) del testo originale di Christoph Friedrich Bretzner, andato in scena per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1782, quando le tensioni tra le due «civiltà» erano momentaneamente allentate. Oggi lo scontro invece è in atto. E anche su Mozart tirano venti di odio e sgozzamenti...
Ostermaier e Kusej spostano l'azione dall'harem turco settecentesco, dove volteggiava l'ironia mozartiana, a un Oriente più vicino a noi, gli anni 20 del Novecento, quelli del colonialismo europeo (e qui forse si può leggere, nella scelta del regista, l'intenzione di rinfacciare agli interessi petroliferi delle potenze europee la causa del risentimento delle popolazioni mediorientali contro l'Occidente, di cui l'Isis è il prodotto finale). Ed ecco allora il palcoscenico trasformato in un deserto, ecco le tende berbere al posto dell'harem. Qui scorre la contrastata vicenda delle due coppie protagoniste, Belmonte-Konstanze e Pedrillo-Blonde, e dei loro antagonisti: il Pascià magnanimo Selim e il suo servitore sanguinario Osmin, il guardiano del serraglio. Sono le due anime dell'islam. Quella conciliante e pacifica, e quella brutale e assassina. Tutti speriamo nella prima, invece la cronaca dice che prevale la seconda. E infatti è Osmin, metafora dell'inconciliabilità tra occidente e Medio oriente, a sognare l'orrenda fine per il nemico: «Prima decapitato, poi impiccato, quindi legato su piastre roventi, bruciato, legato, affogato e per finire scuoiato». E forse, assistendo al finale messo in scena dal Ostermaier e Kusej, non è un sogno. Nella versione originale del Ratto il Pascià lascia liberi i prigionieri (e così racconta anche il recitativo in tedesco di ieri sera), ma sul palco il fanatico Osmin porta come trofeo al proprio Signore i sacchi con le quattro teste mozzate dei cristiani rapiti.

Non è la visione illuminata e pacificante di Mozart, ma è il fotogramma perfetto passato tante volte dai nostri tg dell'islamismo radicale di oggi. Che né i fischi (più di uno al regista) né gli applausi (sette minuti per i cantanti) possono cambiare. La pietà resta nel libretto, davanti a noi rotolano teste mozzate.

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