Più che un film è un flipper. Il Millennium Falcon, l'astronave spaziale ai cui comandi c'è il giovane Han Solo (Alden Ehrenreich) schizza come una pallina lungo tutti i bordi dello schermo che fanno da contorno alla galassia di pianeti in cui l'azione si svolge e dove c'è chi regna e tiranneggia, chi è schiavo e chi si ribella e combatte. Il giovane Han è un orfano senza famiglia e il suo nome indica la sua condizione: è in fuga dal pianeta Corellia, è un disertore dell'esercito imperiale, da cui è scappato con Chewbacca, divenuto il suo secondo, è un avventuriero senza causa, se non la propria, ma a renderlo diverso è il senso dell'onore e della parola data, la fedeltà alle amicizie e agli amori.
Benvenuti nelle «guerre stellari» prima che la loro saga avesse inizio, un ritorno al passato che è anche un gioco di rimandi che faranno la gioia dei suoi appassionati, un po' meno di chi negli anni le ha dedicato un interesse distratto.
Con Solo: A Star Wars Story, è la terza volta che l'invenzione di George Lucas atterra a Cannes, sempre fuori concorso, sempre con un'invasione della montée des marches pirotecnica: androidi e poliziotti spaziali schierati a protezione degli attori: (oltre Ehrenreich c'è l'eroina di Game of Thrones, Emilia Clarke, nel ruolo di Q'ira, il primo amore di Han, Woody Harrelsons (Tobias Beckett), Donald Glover (Lando Calrission). E naturalmente al loro fianco c'è Ron Howard, sapiente e intelligente artigiano di Hollywood, catapultato ai comandi di questa astronave cinematografica che, dopo il siluramento dei due registi che l'avevano preceduto, Phil Lord e Chris Miller, minacciava di andarsi a schiantare per fallimento terreno e insieme iperspaziale.
Mix di western e di giallo, Solo: A Star Wars Story lo si sarebbe definito in altri tempi un film per ragazzi se non per bambini: molte creature mostruose, molti inseguimenti e sparatorie, un ritmo fracassone e una musica a palla. Anche la violenza rimane entro limiti accettabili, e naturalmente non c'è traccia di sesso.
Per l'intera saga, Lucas aveva adottato una strategia precisa, fatta di un cocktail di umorismo e di azione, di fantascienza un po' esotica, di tenerezza e di umanità, di tensione drammatica. E' una ricetta tenuta da Howard bene a mente e che ha permesso a questo «preambolo» da lui firmato di non stonare rispetto a ciò che l'aveva preceduto.
Per chi ha visto gli altri episodi della saga, di Han Solo c'è solo, appunto, quello cui prestava il suo volto Harrison Ford, scelto fra una rosa di possibilità che comprendeva Kurt Russell, Al Pacino, Sylvester Stallone e persino Bill Murray. Prenderne il posto, sia pure per raccontarne la prima giovinezza, non era facile e Ron Howard intelligentemente ha seguito il consiglio che proprio Ford gli aveva dato: «Spero che tu non gli chieda di imitarmi». Nel gioco degli attori, spicca Woody Harrelsons, che in fondo è un Han Solo senza illusioni, un mercenario che non si fida di nessuno ed è sempre pronto a tradire tutti. «Solo è una sorta di icona pop - spiega Howard - e insieme un personaggio complesso sotto una vernice disinvolta.
E' uno che ama il rischio, che è ai margini del sistema, ma non totalmente fuori, si sogna contrabbandiere proprio per non dipendere da nessuno e, in ultimo, ma non per ultimo, pensa che la sua liberta sia il suo bene più prezioso». Che la forza sia con lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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