Lui, al solito, è integerrimo. Al massimo accetta un bacetto sulla guancia dalla sinuosa ragazza sospettata di omicidio. E, solo per questo, viene sgridato dalla storica e pure integerrima fidanzata. Ma tutt'intorno è un fiorire di donne dai facili costumi: non solo giovani sprovvedute che si fanno imbambolare dall'uomo maturo che le se intorta, ma anche «femmine» bellissime che si vendono per comprarsi vestiti o per farsi regalare appartamenti o addirittura corsi di laurea. C'è pure una ragazza così disinvolta da «fidanzarsi» prima con il suocero per poi sposare il figlio che, a sua volta, non si scompone di fronte all'idea di una «condivisione» familiare, non della villetta al mare come si potrebbe pensare, ma della nuora-moglie. Ma soprattutto c'è la protagonista: la bellissima Valentina Lodovini, Giovanna nella fiction, innamorata cotta del padre (il medesimo che si «spupazza» tutte le predette), la quale addirittura lo uccide per gelosia perché, dopo tutta quella sfilza di donne, l'ultima in ordine di conquista, la più scaltra, riesce a farsi intestare il testamento. Mizzega. Ma dove siamo? A Vigata, o nei postriboli di Amsterdam? Possibile che nel paese di Montalbano ci sia un tale concentrato di fanciulle in fiore che invece di fare qualche faticoso lavoretto si vendono a un Don Giovanni vecchierello e per nulla prestante? E che l'unica in tre ore di fiction a essere pura, simpatica, adorabile, con lo spirito da crocerossina che va ad aiutare il barbone in spiaggia, sia la fidanzata del Commissario? Manco una nonna, una commessa, una governante, una poliziotta, un mamma morigerata in tutta la puntata?
Certo, si dirà, la fiction è l'adattamento del racconto Un covo di vipere scritto da Camilleri e, ormai, qualsiasi parola esca dalla penna dello scrittore siciliano è osannata e incriticabile. A buon diritto, visto il successo planetario. E, si aggiungerà, una tal massa di meretrici concentrate in pochi metri quadri è finalizzata a raccontare la vicenda di un imprenditore maligno fino al midollo che passa la vita a conquistare donne, ricattare e fare lo strozzino. Un concentrato di perfidia, un male assoluto sul quale il regista Sironi invita - dice nella presentazione della fiction - a riflettere «senza moralismi e raccontando con mano leggera». Ecco, forse ci poteva andare più leggero. Forse non basta lo sguardo sbigottito di Montalbano, che in vita sua ne ha visti passare di «pezzi di fimmina», a giustificare tanto svolazzare di gonne al ritmo di soldi sonanti. Forse non basta neanche il velo di pietà che gli si legge in faccia quando scopre l'incesto, la figlia innamorata del padre (da cui ha avuto pure un figlio) e gelosa a tal punto da ucciderlo... Va bé, è letteratura, è fiction, ci può stare tutto, soprattutto se all'immenso pubblico di lettori e spettatori che segue Camilleri e Zingaretti-Montalbano, tutto questo piace moltissimo.
Però, una piccola critica, la si può fare: il rapporto incestuoso tra un padre e una figlia, «anche se torbido, mostruoso, inconcepibile, degenerato, cresciuto in un covo di vipere, pur sempre una forma d'amore è», dice in chiusura di puntata Montalbano. No, Montalbano, non lo è e non lo si può e si deve dire. Soprattutto a milioni di ragazze e ragazzi davanti alla tv.
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