L'orchestra esalta «Macbeth», i solisti deludono

Un Teatro la Fenice gremito (fatto sempre più raro nel Paese del Melodramma) ha aperto la stagione 2018-19 con Macbeth di Giuseppe Verdi. Dopo le gran prove offerte nel recente passato dal maestro Myung-Whun Chung nel Simon Boccanegra (Venezia e Scala), l'attesa per il suo incontro con il fiammeggiante primo incontro fra Verdi-Shakespeare era molto alta. E il risultato non è stato inferiore alle previsioni. Negli «accompagnamenti» puri certi stacchi di tempo lenti potevano lasciare qualche perplessità, compensate però dalla bellezza degli impasti sonori e dal vigore denso e raffinato del fraseggio. Orchestra calibrata alla perfezione, soprattutto nei frequenti «fortissimi», quelle esplosioni che scoperchiano il mondo sovrannaturale di oracoli, streghe e sangue che popola la selvaggia Scozia verdiana. Tutto quanto viene suggerito ed esaltato dall'orchestra e dal coro (molto ben preparato e concertato) non ha riscontro sulla scena (predisposta dal regista Damiano Michieletto), dove solisti e coristi sembrano ancora in prova o scappati dal ridotto del teatro e le streghe paiono spermatozoi di un balletto astratto. Il re Duncano più che Verdi in smoking sembra il suo avatar sanremese.

Nonostante questo la direzione musicale ha reso avvincente il racconto seguendo i volenterosi protagonisti, Luca Salsi (Macbeth) e Vittoria Yeo (Lady Macbeth). Sempre in crescita il basso Simon Lim, ottimo Banquo e assai corretto Stefano Secco (Macduff), che aveva il non facile compito di condividere l'inno di rivolta con un Malcolm assai male in arnese.

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