Luigi Malerba, come i veri scrittori, capì presto che la letteratura, per essere tale, deve costruire mondi. Nuovi, diversi, rovesciati, obliqui Quello che sia, ma altri rispetto al nostro. Non serve raccontare la realtà, occorre reinventarla («Io penso che il realismo sia una truffa ai danni dei lettori. La letteratura è invenzione o non è» era il suo credo). E per farlo basta un piccolo scarto, una deviazione minima, un marginale significativo - cambiamento.
Ecco perché Luigi Bonardi (1927-2008), quando decise di diventare scrittore, infilò subito un elemento di disturbo nella realtà, cambiando nome, e divenne Luigi Malerba. Ecco perché amò così tanto Don Chisciotte, campione del controcanto dell'esistenza e della realtà deformata. Ecco perché aderì all'avanguardia - Gruppo 63 - che rovesciava la tradizione, le forme e la lingua, della «vecchia» letteratura (salvo allontanarsene quando la stessa avanguardia diventò a suo modo un'istituzione). Ed ecco perché passò tutta la vita a inventare (e persino a registrare su un diario...) sogni, fantasticherie e menzogne in un lungo viaggio - l'andata aspettando continuamente il ritorno - dalla sua Parma (paesello di Berceto) alla sua Roma (giro dei cinematografari e degli scrittori): il cinema (negli anni '50 dà vita alla rivista Sequenze, poi collabora con Alberto Lattuada alla sceneggiatura dei film Il cappotto e La lupa e nel '54 gira Donne e soldati), la pubblicità (negli anni '60 dirige una società pubblicitaria e realizza Caroselli televisivi e short per vari prodotti industriali, dalla benzina Supercortemaggiore alla pasticca del Re Sole con Fred Buscaglione), e ovviamente la narrativa: romanzi, libri per l'infanzia, saggi, teatro. E soprattutto racconti. Sei raccolte in tutto, da La scoperta dell'alfabeto pubblicata nel 1963, grazie a Ennio Flaiano, che lo raccomanda a Bompiani, a Sull'orlo del cratere, uscita postuma, nel 2018: un corpus di 130 storie oggi raccolte per la prima volta in un unico volume curato da un principe dell'italianistica, Gino Ruozzi: Tutti i racconti (Mondadori, pagg. 689, euro 28).
Ed ecco il punto. Lavorando così tanto e così a lungo sulla forma breve, Malerba ha dimostrato quanto credesse - e Gino Ruozzi lo spiega bene nella lunga introduzione - in una componente fondante della nostra letteratura, l'arte del racconto, che dalle novelle del Boccaccio arriva a Verga, Pirandello e oltre, fino a tutto il '900. Un genere che ha una sua tradizione, una dignità e un'autorevolezza, nonostante piaccia poco agli editori e spesso anche ai critici i quali, quando hanno fra le mani un libro di racconti, forse per nobilitarlo, preferiscono parlare di «racconti che formano un romanzo» o persino di «microcellule di romanzo» (come accadde a Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia).
Comunque, Luigi Malerba - che considerava la novellistica la narrativa più alta della nostra storia letteraria - adorava scrivere storie brevi. Visti anche i vantaggi che presentavano. Erano perfette per sperimentare strutture e linguaggio. Perfette per collaborare con i giornali (da Giornale d'Italia negli anni '60 al Corriere della sera negli anni '70 e infine su Repubblica negli anni '80 e '90, ma anche su Playboy). Perfette per dare sfogo alla voglia di giocare con i suoi personaggi e con altri mondi (il suo appennino emiliano nella raccolta La scoperta dell'alfabeto, la Cina del primo imperatore de Le rose imperiali). E perfette per fare da contrappunto alle varie trasformazioni - capaci di generare situazioni comiche, grottesche, surreali e bizzarre - che segnano di volta in volta il passaggio dall'Italia contadina a quella industriale (Malerba fu molto sensibile ai temi che oggi si chiamano green e all'epoca erano le battaglie contro la speculazione edilizia... leggete ad esempio Dopo il pescecane, siamo nel 1979, contro le archistar), da quella della ricostruzione al boom (era attentissimo ai processi di massificazione, mercificazione, turboconsumismo e segnaliamo Lo scrittore robot, sulla editoria di massa usa-e-getta), da quella provinciale a quella del benessere (Malerba è irresistibile quando ridicolizza follie burocratiche e derive tecnologiche consigliamo tra i tanti Gli avvoltoi sullo scandalo dello smaltimento rifiuti nelle aziende ospedaliere), da quella antifascista a quella democristiana (fra i tanti, splendido, Quella sera d'agosto, 1988, sulle convenzioni borghesi).
Una analisi socio-antropologica lunga quarant'anni in cui la realtà viene trasformata, riletta, piegata in situazioni paradossali, occasioni equivoche, circostanze spiazzanti. «Ed è qui forse che sta la modernità di Malerba - chiacchiera col Giornale il curatore Gino Ruozzi - cioè nel costruire meccanismi narrativi brevi ma perfetti. C'è un punto di vista, e la storia sembra andare da una parte, poi improvvisamente il punto di vista cambia, e le cose vanno da tutt'altra. Malerba è un maestro nell'imprimere uno scarto al racconto, nel cambiare le aspettative del lettore. Ti mostra una realtà, e poi ti precipita in un'altra. È talmente disorientante che ti mette in agitazione».
Tra le storie che più mettono in agitazione il lettore, ecco una nostra personalissima selezione. Tutti i racconti della raccolta d'esordio La scoperta dell'alfabeto (1963) che si muove lungo la linea impressionistica-comico-padana-surreale (per chi piace, a noi molto) dei Cavazzoni-Benati-Celati; l'irresistibile parodia del femminismo d'assalto ne Il marito femminista, 1979; l'elogio della menzogna (narrativa) ne Il magnifico truffatore, 1988; il glaciale esame autoptico di una certa italianità nel Mafioso; il tragico divertissement sulla vita coniugale ne Il mostro; l'elegantissimo j'accuse contro un particolare tipo di cinema (a là Antonioni?) ne La trama, sempre 1979; e poi, sorta di manifesto dell'idea di «narratore inaffidabile» di Malerba, il quale smonta i meccanismi tradizionali del racconto secondo i principi dell'avanguardia per poterli però poi rimontare nella massima libertà d'azione, Il plagio (1988), un triplo sogno in forma di racconto, e viceversa, sulle ambiguità e l'obliquità dell'arte della narrazione. Racconto bellissimo ma - come si dice? per pochi.
Del resto Malerba nonostante i premi (il Prix Médicis étranger, il Viareggio, il Grinzane Cavour, il Chiara), nonostante le buonissime vendite in vita (più i romanzi, Itaca per sempre soprattutto, che i racconti) e il Meridiano Mondadori in morte (nel 2016, a cura di Giovanni Ronchini) è stato scrittore famoso, ma non popolarissimo. Per lettori forti, ma non per tutti. «E oggi - aggiunge Gino Ruozzi - gode di un'ottima attenzione da parte della critica, non è scomparso dai radar, ma ha un pubblico medio, non da classico quale merita di essere».
Intanto la raccolta completa dei racconti è un primo passo, in attesa di nuove sfide editoriali e non solo. Nell'ordine. Il restauro del suo unico film da regista, Donne e soldati, del '55, antenato, confessò una volta Mario Monicelli, della sua Armata Brancaleone (la Cineteca di Bologna ci sta già lavorando).
La pubblicazione del trattamento della Storia della Colonna Infame che stava preparando per la Titanus e dovette abbandonare per via della censura («Ero nel libro nero di Andreotti e rimasi tagliato fuori», disse anni dopo). E il recupero del materiale dell'epoca in cui faceva il pubblicitario: pochi lo sanno, ma Malerba progettava (addirittura!) di girare uno spot sul libro. Per dire quanto fosse sognatore il tipo
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